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Modena, boom di home restaurant e Confesercenti non ci sta: «Ristoranti in casa? Servono regole»

di Saverio Cioce
Modena, boom di home restaurant e Confesercenti non ci sta: «Ristoranti in casa? Servono regole»

Mentre sul web impazza la moda, Confesercenti chiede chiarezza: «Ci sono cuochi che affittano appartamenti»

22 gennaio 2016
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MODENA. I più ironici la chiamano “cucina alla carbonara”, per far la rima con la ricetta della pasta. Ma è un fatto che gli “home restaurant”, ovvero i ristoranti casalinghi, non hanno nulla a che fare con le trattorie con la nonna in cucina ma con la moda della gastronomia esplosa sui social network. In provincia sono già una ventina le esperienza che funzionano abitualmente.

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Ed è proprio su internet che corrono appuntamenti e recensioni, pubblicità di feste e attività che durano lo spazio di una stagione; tutte con lo stesso denominatore, ricette sfiziose e pochi posti a tavola. Il fenomeno, comune a Cuba dove il regime di Fidel Castro sperimentò un decennio fa le prime forme di economia privata, nelle metropoli occidentali è diventato in pochi anni un fenomeno di moda. Gli ingredienti ci sono tutti.

Pochi posti a tavola, scelta preventiva dei piatti ma non dei commensali che s’incontrano tutti insieme a casa della famiglia che ospita, accoglienza e clima familiare. Quella che però era una cordialità alla buona, con l’incoraggiamento ad aggiungere una bottiglia portata dalla cantina dei commensali piuttosto che la torta fatta all’ultimo minuto, è diventato un fenomeno diffuso.

Cercando sul web, la piazza elettronica dove queste microattività proliferano e s’incontrano, si scopre che a Modena ci sono una ventina di gruppi che si richiamano ai principi e alla pratica degli home restaurant. Di fatto ognuno la interpreta come vuole, da chi organizza gruppi vegetariani a quelli specializzati nel pesce. Molte volte si tratta di entusiasmi di breve durata che si esauriscono in una stagione, ma per il presidente provinciale di Fiepet - Confesercenti, Gianfranco Zinani, si tratta di una concorrenza indebita contro i ristoranti veri, con sede e costi fissi. «Chiediamo che anche per loro ci siano regole: oggi i cuochi social non ne hanno nessuna. Sono sconosciuti al fisco, non hanno i controlli dei Nas, chiamano chi vogliono e quando vogliono, in case private e chi è ai fornelli non deve rispondere dei requisiti professionali». Le stime dei ristoratori professionali parlano di un giro d’affari di 7,2 milioni di euro all’anno e la stima di queste attività sarebbe attorno alle 2400 in tutta Italia.

«Questo clima di assenza totale di regole speriamo che finisca al più presto, è concorrenza sleale - dice Daniele Cavazza, segretario provinciale Fiepet - Il Ministero dello Sviluppo Economico con una sua nota ammette che serva una normativa quadro, al pari di altri servizi che offrono al pubblico una ristorazione. Ma tutto è finito lì, non ci sono stati provvedimenti. E quando noi abbiamo girato al Comune di Modena la nota ministeriale i funzionari ci hanno risposto che non potevano controllare le case private senza una mandato del giudice».

Un settore microscopico, peraltro organizzato sul passaparola e con criteri amatoriali, ma in tempi di magra come questi per i ristoranti, anche la difesa di bandiera della professione conta più di una concorrenza minima.

«Sia chiaro - conclude Cavazza - Il nostro bersaglio non sono i cuochi social, i gruppi di amici che si ritrovano assieme tirando fuori una quota a testa per comprare assieme il pesce e via elencando. Il fatto è che alcuni cuochi stanno cominciando anche dalle nostre parti ad affittare appartamenti e attrezzano la cucina per poi offrire cene e pranzi su appuntamento a prezzi più bassi dei colleghi. Per forza! Spese quasi inesistenti e niente tasse per mettere a tavola da 20 a 30 persone alla volta: se questa non è concorrenza sleale come vogliamo chiamarla?».