Bauman a Festival Filosofia: «Siamo al tutti contro tutti solo il dialogo ci salverà»
Per Bauman la nostra quotidianità è una guerra senza l’uso concreto di violenza «Fin da piccoli si cresce nel culto dell’antagonismo, istigati ad essere competitivi»
«In questi anni la guerra è cambiata. Tutti combattono contro tutti, nella loro quotidianità, senza bisogno dell'utilizzo concreto della violenza». Con queste parole Zygmunt Bauman ha aperto la sua lectio magistralis per la sedicesima edizione del festival filosofia. Parla di Hobbes, di come il suo Leviatano, che nella società moderna si traduce nello Stato, ci sottometta ad un'altra forma di violenza.
La sicurezza, nel mondo moderno, è imprescindibile, ma riguarda molti ambiti: se da una parte dobbiamo essere tutelati a livello fisico, dall'altra dobbiamo e vogliamo avere una sicurezza economica e lavorativa. Questo ci trasforma e ci educa alla competizione.
«Questa parola ha diversi significati - ha spiegato il sociologo statunitense davanti a un folto pubblico - implica una divisione. Ci siamo noi, in cui ci identifichiamo, e ci sono loro, che sono diversi, estranei. È fondamentale per noi capire chi siamo, ma non possiamo farlo senza diversificarci dagli altri, attraverso fattori come il colore della pelle, la lingua, la cultura».
Eppure, il professore ha affermato che queste guerre convenzionali ormai non esistono più. Ormai i conflitti sono dati dall'antagonismo, molto spesso fomentato dalle nuove filosofie manageriali. «Fin da piccoli - ha continuato - ai bambini viene insegnato l'antagonismo. Già a tre o quattro anni gli lasciamo in mano un cellulare, dandogli la facoltà di dare o negare il rispetto. È una vergogna, la vergogna del consumismo. Siamo ormai istigati ad essere competitivi, perché essere migliori di qualcun altro e di conseguenza renderlo peggiore di noi, ci garantirà prestigio, quindi potere e sicurezza».
Secondo Bauman però non basta arrivare al proprio meglio: i risultati ottenuti vanno sempre riconfermati e migliorati, anche non curandosi delle regole. Ognuno deve combattere da solo e la concorrenza reciproca sembra essere un business molto redditizio. «Tutto ciò - ha chiarito il professore - ha conseguenze sui legami umani, che vanno via via allentandosi. Tutto è computerizzato, le persone non si incontrano più, credendo di farlo dietro ad uno schermo, che però permette solo di relazionarci superficialmente: è un compromesso perfetto per non sentirci soli, ma, al contempo, non sentirci strettamente legati ed impegnati, perché non vogliamo più una relazione a lungo termine. Ci richiederebbe troppa fatica, pazienza e tempo, ci renderebbe vulnerabili, minando quella sicurezza che cerchiamo disperatamente di trovare. Anche i politici ormai non hanno più un vero potere, che sembra essere sempre più lontano da noi. I governi, attraverso i media, hanno interesse a rendere insoddisfatta la popolazione, a metterci gli uni contro gli altri. Se fossimo sicuri di noi saremmo di nuovo uniti e sarebbe più facile lasciare da parte le nostre differenze sociali». E allora come fare per sviluppare sicurezza e solidarietà? A questa domanda silenziosa al numerosissimo pubblico, riunitosi in piazzale Avanzini e piazza Garibaldi, Bauman ha risposto, concludendo come aveva iniziato, ovvero citando Papa Francesco: «Dobbiamo risolvere i nostri screzi attraverso il dialogo, con pazienza ed infiniti tentativi, perché questo è l'unico modo per vivere bene insieme».