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Modena, Roberto Finelli. La vita in musica di uno “scultore” di chitarre e bassi

di Alessandro Carraro
Modena, Roberto Finelli. La vita in musica di uno “scultore” di chitarre e bassi

Il liutaio di Lenzotti: da quando aveva 14 anni firma pezzi unici realizzati tutti a mano

13 dicembre 2016
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MODENA. Ha cominciato ragazzino e da allora la sua vita professionale è stata dedicata alla fabbricazione di strumenti musicali. Roberto Finelli, liutaio dalla decennale esperienza, attualmente lavora presso Lenzotti, punto di riferimento per musicisti, professionisti e non, di Modena.

Maestro Finelli, come ha iniziato a fare il suo lavoro?

«Ho iniziato nel 1965 a Bologna, nel negozio di Stanzani&Tomassone. Avevano appena aperto e tutto si riduceva a una piccola stanza con una tenda che divideva il laboratorio dalla vetrina. Io avevo 14 anni, e mi presero come assistente del liutaio. Passai almeno un anno e mezzo a pulire il negozio! Al massimo avrò cambiato le corde a qualche chitarra, ma è stato comunque formativo per conoscere il mondo degli strumenti musicali. Poi sono andato all'azienda di Hans Bauer, sempre a Bologna, il primo importatore di prodotti Fender in Italia, e lì c'era davvero tanto lavoro da fare, di assistenza e riparazione. Ho imparato tanto allora perché c'era un tecnico bravissimo, che, per esempio, se avevi bisogno di una vite particolare era in grado di fabbricartela. Dopo quel periodo Stanzani e Tomassone mi chiesero di tornare da loro e io accettai. Sono state tutte esperienze utili, ma sentivo sempre che mi mancava qualcosa: l'aspetto più creativo. Allora, dal 1986 al 2010, ho lavorato in proprio con un laboratorio a Borgo Panigale. Poi è arrivato Lenzotti dove continuo a fare riparazioni, ma anche a costruire i miei strumenti. Ora ne sto realizzando tre, su commissione, tutti personalizzati, con legni, disegni, e forme diverse».

Come sceglie i legni per le sue opere?

«Ho un deposito di materiale che mi basterà per un po' di tempo, ma cerco anche legni nuovi. Come in tutte le cose, le mode cambiano e bisogna rimanere aggiornati. Per esempio l'Acero Frisè, tipico dei fondi di violini e violoncelli, continua giustamente a essere molto usato, ma esistono tante altre tipologie di Aceri: la Sugar, la Quilted, che creano disegni diversi, e vengono usati sui top delle elettriche, o sui fondi delle chitarre jazz e acustiche. Comunque la mia scorta va sistemata a ogni cambio di stagione: ribalto tutti i pezzi, li controllo e applico le relative etichette. Sono operazioni indispensabili per far stagionare al meglio il legno, al riparo dall'umidità. Alcuni miei pezzi hanno 45 anni. Molto materiale lo recuperai dal fallimento della ditta Eko, che nell'86 iniziò a liquidare il contenuto dei magazzini. Lì ho trovato palissandro, lastre di celluloide per i filetti e i batti-penna delle chitarre, e anche attrezzi del mestiere, adesso difficilmente reperibili in quelle forme e quantità. Poi ci sono le fiere. Sono andato recentemente a Cremona dove ho preso qualche pezzo, dai tre ai cinque anni di stagionatura, ma non mi accontento. Vorrei che i miei manici da chitarra o da basso rimanessero sempre regolabili e dritti, e per questo servono legni ben stagionati».

Lei è specializzato in bassi elettrici e chitarre, si dedica anche alla creazione di strumenti da orchestra?

«Ho fatto alcuni tentativi anni fa, e tutt'ora può capitare, ma a me piace cambiare le tipologie e le forme, non voglio fare uno strumento uguale ad un altro. Devo sviluppare l'aspetto creativo per essere soddisfatto, ed è una cosa che negli strumenti tradizionali si può fare a livello di acustica, ma molto meno in senso estetico. Sono campi lavorativi che vanno rispettati per l'importanza culturale e la tradizione che manifestano, ma preferisco altro. Anche nel mondo della liuteria ci sono varie specializzazioni. Da ragazzo assistetti ad uno strano episodio: un giorno entrò in negozio un signore, scortato dalla polizia, appoggiò sul tavolo una custodia e ci disse che dentro c'era un Guarnieri del Gesù, quindi uno dei violini più costosi al mondo. C'era appena stata l'alluvione a Firenze nel 1966, e lo strumento era ridotto in mille pezzi. Rimasi sbalordito nel vedere le riparazioni che erano state effettuate nel corso dei secoli, una perfezione inarrivabile. I miei datori di lavoro non accettarono la commissione. A ognuno il suo mestiere».

Quali sono le difficoltà specifiche di un lavoro artigianale come il suo?

«Prima di tutto è difficile contrastare la logica dei grandi numeri imposta dall'industria. Un basso può avere i fori delle corde di diametri diversi, in rapporto allo spessore della corda; ed è un pezzo unico. Se vado da un tornitore e gli dico che vorrei una cosa del genere, lui mi chiede subito per quante migliaia di pezzi deve farlo. Di solito gli rispondo: “Dai, facciamo due pezzi per star larghi”. E i costi ovviamente lievitano».

Oggi c'è interesse per la liuteria come prospettiva lavorativa? Ha mai avuto degli assistenti?

«Ho avuto otto assistenti nella mia carriera ma non è facile portare avanti la trasmissione delle competenze. I costi sono elevati, e soprattutto, spesso si presentano ragazzi di venticinque anni che vorrebbero iniziare. Secondo me è già troppo tardi per “farsi la mano”, poi ci sono sempre le eccezioni. Pensi che nel Seicento gli apprendisti abitavano a casa col liutaio, venivano chiamati “Famigli”, e iniziavano a circa otto anni. Questo oggi non è più possibile. Comunque prima si inizia meglio è perché occorre molta pratica per imparare. In ogni caso l'interesse c'è, ed è in crescita. Anche pochi giorni fa, presso Lenzotti, ho condotto una lezione sulla liuteria, parlando del mio approccio al mestiere. Finchè ci saranno musica e musicisti ci saranno i costruttori di strumenti. E io ho ancora tanti progetti da realizzare».

UNA CLIENTELA FATTA DI STAR

 

Nel corso della sua carriera Roberto Finelli ha lavorato per grandi interpreti della musica italiana e internazionale. Tra questi: i Nomadi, i Ladri di Biciclette, Riccardo Fogli, Lucio Dalla, gli Stadio, Luca Carboni, Kiko Loureiro (chitarrista di Agra e Megadeth), il Bermuda Acoustic Trio, Jimmy Villotti (turnista per Mingardi, Endrigo, Paolo Conte), e ancora, Ivano Fossati, la Steve Rogers Band, Bruno Mariani (Dalla, Claudio Lolli, Morandi)… «Una volta ho riparato una chitarra per Elisa - racconta Finelli - era un vecchio strumento a cui teneva molto, perché le era stato regalato dal padre». Nei racconti del maestro gli aneddoti non mancano: «Un giorno conobbi Branduardi. Dopo aver parlato di lavoro, andammo a prendere un gelato. Non fu semplice arrivare in gelateria perché tutti lo fermavano per gli autografi. Lui mi presentò Maurizio Fabrizio, (quinto autore più presente al Festival di Sanremo), per il quale lavorai varie volte». Di vecchia data la conoscenza con Claudio “Gallo” Golinelli, bassista di Vasco: «Eravamo a scuola assieme, ho più volte rimesso in sesto i suoi strumenti». Un altro personaggio, sempre collegato a Vasco Rossi, è Stef Burns «chitarrista straordinario, che ho avuto il piacere di conoscere» dice Finelli. Altre storie riguardano il mondo del jazz: «Durante un seminario a Ravenna, nell'88, il chitarrista Jim Hall (Ella Fitzgerald, Sonny Rollins, Pat Metheny) provò un mio strumento, e avrebbe voluto comprarlo. Purtroppo era stato costruito su commissione e non ci fu verso di convincere il proprietario a venderglielo».