«Facevo fatture false, ma non per la cosca» 

«Facevo fatture false, ma non per la cosca» 

Ieri la confessione dell’imprenditore di Ravarino, Vincenzo Mancuso. Zangari: «Ero un prestanome»

09 giugno 2017
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REGGIO EMILIA. Faceva le fatture false, per cifre sbalorditive, ma di ’ndrangheta non sapeva nulla.

L’imprenditore Vincenzo Mancuso – 52enne cutrese che vive a Ravarino – ieri mattina è uscito dalle gabbie degli imputati ancora detenuti chiedendo alla corte del processo Aemilia di fare dichiarazioni spontanee. Si è accomodato a sedere davanti al presidente Caruso e ha di fatto confessato una parte delle pesanti imputazioni che gli vengono addebitate, negando però quelle più compromettenti.

L’intervento era stato anticipato dall’avvocato difensore Pasqualino Miraglia.

«Facevo fatture false perché ci guadagnavo il 10%. La “Edil Building srl” era una società che esisteva davvero. I soldi sono miei, non del clan Grande Aracri. Condannatemi per le fatture false, ma non per l’associazione mafiosa», ha in sostanza dichiarato.

Mancuso è imputato in concorso con altri volti ormai noti ad Aemilia: Salvatore Cappa, Romolo Villirillo, Floro Vito Gianni, Belfiore Carmine, Francesco Frontera, Francesco Gullà, Giuseppe Aiello, Salvatore Le Rose... In sostanza per l’accusa Mancuso aveva ricevuto da Villirillo - incaricato di investire in Emilia le grandi disponibilità economiche della cosca cutrese dei Grande Aracri, e di favorire gli investimenti dei mafiosi associati - somme cospicue, con le quali organizzare un giro di fatture false, attraverso una società veneta. La società veneta emetteva gli assegni per operazioni inesistenti che Mancuso e gli altri monetizzavano, trattenendosi la loro quota, e restituendo alla disponibilità dell’organizzazione le cifre così ripulite.

Il ravarinese Mancuso, che a a Soliera è titolare della Edilbuilding e a Modena controlla anche La Magnolia Costruzioni, ha negato ogni rapporto con l’organizzazione: «Non troverete, perché non c’è, alcuna telefonata tra me e gli uomini della cosca. Non sono corrette le dichiarazioni fatte qui dai carabinieri di Modena. Quella società del nord aveva bisogno di fare le fatture, e io mi ero prestato, ma i soldi per fare le operazioni ce li mettevo io, erano soldi miei e la Edilbuilding non era una società fantasma, ma la mia impresa, attiva sul mercato. Condannatemi per questo, ma con la ’ndrangheta non c’entro...», ha concluso leggendo un testo preparato. Parliamo nel complesso di operazioni di false fatturazioni che tra il 2011 e il 2012 hanno sfiorato i due milioni, con la Edilbuilding che solo in quei due anni ha fatto girare circa 250mila euro».

Il processo poi ha fatto registrare parecchie rinunce agli interrogatori, anche dei due figli minori dell’imprenditore emiliano Augusto Bianchini.

Ha detto invece che aveva fiducia in Giuseppe Giglio («È cognato di mio cognato, lo conoscevo...») e soprattutto con quattro figli da mantenere cercava disperatamente un lavoro con relativo stipendio, trovandolo nel 2010 proprio attraverso questa conoscenza.

L’imputato Valter Zangari – 45enne d’origine crotonese, ma residente a Montecchio – ha perciò ammesso ieri davanti alla Corte di essere stato un prestanome (divenne socio ed amministratore unico della società “Trasmoter srl “ dedita al commercio all’ingrosso di materiale edile, ditta in realtà controllata da Giglio come ricostruito dagli inquirenti). «Mi davano 1500 euro al mese per qualche firma», ha detto, aggiungendo di non sapere nulla delle fatture emesse dall’azienda. Gli vengono invece contestate fatture per operazioni inesistenti per quasi un milione e mezzo di euro.

Alberto Setti