Modena, l'università alleva le “mosche soldato” per produrre plastica
Il progetto coordinato dall’entomologa Lara Maistrello: «Agiscono direttamente sui rifiuti, presto il primo impianto»
MODENA. Dopo le api operai, le formiche lavoratrici, le zanzare tigre arrivano anche le mosche soldato? Detta così sembra solo una battuta, in realtà ci troviamo di fronte ad uno dei progetti più innovativi degli ultimi anni sul fronte dei biomateriali. Merito dell’università di Modena e del suo Biogest, centro di ricerca interdipartimentale per il miglioramento e la valorizzazione delle risorse biologiche agro-alimentari, al quale si deve il progetto ValoriBio.
L’obiettivo di questo team di lavoro coordinato dalla dottoressa Lara Maistrello, è produrre biomateriali da utilizzare in agricoltura e plastiche completamente biodegradabili partendo da scarti zootecnici e da altri rifiuti organici. Per la trasformazione di questi rifiuti sono impiegate, appunto, le mosche soldato, le cui larve si nutrono di materiali organici in decomposizione. Il valore complessivo del progetto è 1,2 milioni di euro di cui 867mila messi a disposizione dalla Regione. I ricercatori sono appena stati protagonisti a Research To Business, dove l’impiego di questa varietà particolare di mosche per la produzione di materiali bioplastici ha destato particolare interesse. Con Biogest di Unimore anche Siteia Parma, il centro di ricerca Intermech sempre dell’università di Modena, Reggio Emilia Innovazione, ricercatori, chimici, biologi, ingegneri, anche avvocati, e l’esperienza di alcune aziende come Amadori, Iren e Kour Energy. Tutti sotto la direzione della dottoressa Lara Maistrello.
Al Tecnopolo di Reggio Emilia, dove il gruppo di lavoro sviluppa la sua ricerca, c’è proprio il laboratorio delle mosche soldato: larve ed esemplari adulti, che producono altre larve per continuare a sperimentare: «Ne abbiamo a disposizione qualche chilo – sorride la dottoressa, entomologa – ed è grazie a loro che siamo arrivati a chiudere questo percorso che presto vedrà la realizzazione di un vero e proprio impianto».
Ma a chi è venuta l’idea delle mosche?
«Se accostiamo la parola rifiuti agli insetti, la prima cosa che ci viene in mente sono le mosche. Le mosche soldato, però, hanno la particolarità di non essere attratte dall’uomo, di non infestare il substrato nel quale lavorano, e in più rendono inabitabile alle mosche comuni i rifiuti organici sui quali operano. Sono arrivate dall’America nel 1500 e per il nostro progetto sono una fortuna».
Quindi anche le mosche sono preziose?
«Queste lo sono particolarmente. Attualmente lo smaltimento di deiezioni e scarti zootecnici e frazione organica dei rifiuti urbani è soggetto ad una rigida normativa sulla tracciabilità che ne impedisce usi alternativi e comporta costi non indifferenti. La destinazione finale di questi scarti è rappresentata dall’ottenimento di compost di scarsa qualità. D’altra parte, in natura questi materiali organici sono il substrato ottimale per la crescita di alcune specie di insetti con adattamenti tali da prosperare in ambienti con elevate quantità di microrganismi potenzialmente patogeni. Tra questi insetti vi è la “mosca soldato”, le cui larve convertono in modo rapido ed efficiente grandi quantità di rifiuti organici in biomassa proteica ricca di grassi».
Che obiettivi vi siete dati?
«Grazie all’attività delle larve di mosche soldato è possibile ridurre del 60% la massa secca delle deiezioni, il tenore di fosforo e azoto, sopprimere la crescita batterica (compresi i batteri nocivi), gli odori sgradevoli e la popolazione di mosche domestiche infestanti. Il residuo risultante è un compost ammendante di buona qualità».
I biomateriali che si possono produrre che qualità raggiungono?
«Attualmente le bioplastiche utilizzate in agricoltura derivano da polimeri di amido di mais e spesso presentano una biodegradabilità non uniforme e avente durata superiore al ciclo colturale delle piante orticole. L’utilizzo di bioplastiche a base proteica, oltre ad evitare il ricorso a piante destinate all’alimentazione, potrebbe rappresentare una valida soluzione alternativa, garantendo il rilascio dell’azoto durante la biodegradazione in sincronia con il ciclo colturale».
Quando si potrà vedere tutto questo al di fuori del vostro laboratorio?
«Molto presto. Uno degli output principali del progetto è la realizzazione del primo impianto dimostrativo in Emilia Romagna di un allevamento di mosche soldato. Grazie ad impianti di questo tipo realizzati su grande scala sarà possibile, nel futuro, smaltire in modo sostenibile, efficiente ed economicamente vantaggioso ogni tipo di rifiuto organico proveniente dalla filiera agro-zootecnica e dagli scarti urbani. Da questi scarti sarà possibile ricavare un prodotto ad alto valore aggiunto per uso agricolo (compost arricchito da zeolitite) e, dagli insetti, altri prodotti per diversi usi industriali e agricoli. Rispetto al compost attualmente presente sul mercato, il prodotto che si otterrà da questi impianti, grazie all’arricchimento in zeolititi, permetterà di ridurre l’apporto di fertilizzanti di sintesi grazie alla sua azione di rilascio graduale di sostanze nutritive».
E le mosche soldato una volta cresciute?
«Una volta accoppiate vivono pochi giorni. Tra i prodotti che si prevede di ricavare dal frazionamento degli insetti vi saranno proteine, grassi e chitina. La frazione proteica, se ottenuta da scarti vegetali/alimentari potrà essere utilizzata come additivo a mangimi e trovare impiego nell’industria mangimistica e del pet-food. La chitina potrà essere proficuamente commercializzata in ambito biomedicale o per la produzione di materiali utilizzabili in altri ambiti industriali (fibre, spugne, schiume). La frazione lipidica delle mosche soldato potrà essere usata/venduta per la produzione di energia o biodiesel».