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Il lembo di Batman: brevetto modenese per asportare tumori

di Davide Berti
Il lembo di Batman: brevetto modenese per asportare tumori

Il dermochirurgo Mario Puviani dirige l’unità di Sassuolo «Le fasi dell’intervento ricordano il logo del supereroe»

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Batman supereore anche in sala operatoria? Non risultava, almeno fino a qualche settimana fa, quando il “lembo di Batman” è entrato ufficialmente a far parte della letteratura medica grazie all’intuizione di un medico modenese, Mario Puviani. Puviani, 45 anni e direttore dell’unità operativa di dermatologia e di chirurgia dermatologica dell’ospedale di Sassuolo, ha sperimentato e “brevettato” una nuova tecnica per l’asportazione chirurgica dei tumori maligni della glabella, la zona del viso compresa tra le due sopracciglia e il naso, al centro della fronte. Prima della pubblicazione sulla rivista scientifica International Journal of Dermatology, Batman era solo un grande personaggio dei fumetti, di una fortunata serie televisiva e di pellicole di grande successo, oggi è invece anche una prassi chirurgica che sta facendo il giro del mondo.

Puviani, come le è venuto in mente di dedicarsi a questa particolare intuizione?

«Qualsiasi cosa tu tolga in quella zona della fronte, per suturare inevitabilmente avvicini le sopracciglia, anche sfruttando tecniche di chirurgia plastica. Una mattina, guardando un paziente sul lettino, mi è venuto spontaneo pensare a qualcosa di diverso, e di modificare una plastica classica modificandola nel lembo di Batman ».

In che cosa consiste?

«In fase ricostruttiva consiste nell’incidere la cute al di sopra degli archi sopraccigliari e far scendere a goccia il tessuto dall'alto verso il basso, in questo modo non devi avvicinare le sopracciglia per chiudere la breccia chirurgica inevitabilmente creata per la asportazione del tumore maligno. Infatti è il tessuto dai due lati che ruotando inferiormente fino ad unirsi al centro permette la chiusura della ferita colmando lo spazio utile per mantenere una normale distanza tra i due archi sopraccigliari».

D’accordo, ma perché proprio Batman?

«Riguardando le foto e le fasi dell'intervento ho visto due fasi operatorie che raffiguravano qualcosa di simile a due ali di pipistrello. Chi ha la mia età, è cresciuto coi fumetti e sa cosa intendo quando dico che mi è venuto in mente il logo di Batman che dalla sua nascita ad oggi si è evoluto con forme sempre diverse. In due fasi operatorie che contraddistinguono l’intervento vengono a configurarsi figure ricostruttive con lembi di cute che ricordano proprio le forme di due loghi di epoche diverse, da qui il nome "lembo di Batman", una piccola rivisitazione di una tecnica ricostruttiva classica con poteri da supereroe».

Piccola ma preziosa se la comunità internazionale ha deciso di divulgarla.

«La prima rivista a cui è stato inviato mi ha rifiutato il lavoro quando mi sono opposto al cambio di titolo, poi è arrivata la pubblicazione; non ho voluto cambiare quel nome per diversi motivi, non ultimo la ammirazione che nutro per chi è in grado di far volare la fantasia dei giovanissimi con una semplice matita e magari anche riportare indietro nel tempo i meno giovani».

Quando è cominciata questa avventura?

«Il primo caso lo portai come curiosità a un congresso che aveva come moderatore Stefano Donelli, oggi purtroppo scomparso. Era un collega stimato e soprattutto un amico, l’ho ascoltato. È stato lui a spronarmi per provarla e perfezionarla su altri pazienti e farla diventare qualcosa di unico nel campo della Chirurgia Dermatologica».

Quanto tempo è passato da quella mattina col paziente sul lettino?

«Il mio primo caso è datato 2015, deve sapere che non è una localizzazione frequente quella glabellare per i tumori maligni cutanei, ma siamo riusciti a raccogliere un’ottima casistica grazie al fatto che in ospedale a Sassuolo siamo in grado di eseguire sia la parte diagnostica che quella chirurgica. Penso che questo sia alla base della professione moderna, di come si dovrebbe intendere il nostro mestiere. Un dermatologo deve affrontare questi due aspetti della medicina, essere in grado di fare diagnosi e di intervenire. E di fare stare meglio il paziente, da tutti i punti di vista, compreso quello estetico quando è possibile».

Cosa intende?

«Quello che definisco il mio gol, è quando dopo che hai tolto i punti di sutura al paziente, lui si guarda allo specchio e dice “pensavo peggio, non si vede quasi nulla”. Questa è la soddisfazione del dermochirurgo e io non mi stanco mai di ripeterlo ai miei collaboratori, devono prestare grande attenzione a tutte le fasi operatorie, anche quelle che potrebbero sembrare le più banali, perché le imprecisioni in chirurgia molte volte si evidenziano dopo l’intervento».

A Sassuolo lo hanno capito?

«Ho un equipe di dieci colleghi, l’Ospedale di Sassuolo dal 2009 ha fatto crescere il sottoscritto e tutti i suoi collaboratori e la nostra è una famiglia sempre più numerosa. Il nostro ambulatorio di Dermatologia Oncologica registra ogni anno mille accessi, in tutto diecimila prestazioni solo nel 2017 di cui 600 interventi in regime di ricovero. Il 95% degli interventi è rappresentato da asportazioni di neoplasie cutanee. Gli interventi ambulatoriali sono 1.800 l’anno, la metà neoplasie. Sono numeri di un ospedale che funziona, che fa scuola, che porta sul territorio le sue competenze, svolgiamo infatti servizio anche in altri presidi dell’area sud della provincia».

Come mai ha scelto di fare il dermatologo?

«Abbinare la diagnosi alla terapia chirurgica è sempre stato il mio obiettivo, significa iniziare un lavoro e portarlo a termine. La Dermatologia in questa ottica è stato il matrimonio perfetto tra i miei interessi e le mie aspirazioni».