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Raina Kabaivanska: le vie del cuore di una signora dell’opera lirica

di Massimo Carpegna
Raina Kabaivanska: le vie del cuore di una signora dell’opera lirica

Italiana e modenese per due grandi amori: il belcanto e il marito. E per la voce di Maria

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Intervistare Raina Kabaivanska non è impresa da poco, perché la “Tosca di oggi” - come la chiamava Pavarotti paragonandola a Maria Callas, la “Tosca di ieri” - non ama la celebrazione. Approfitto, allora, della condizione di collega al Vecchi Tonelli per porre qualche domanda.

Come è nata la passione per la musica?

«Per natura. A circa sei anni, ho insistito per suonare il pianoforte e i miei genitori mi hanno accontentata, anche se non erano musicisti. Al Liceo ho iniziato a cantare nel coro e il Maestro ha scoperto la mia voce. In seguito, con una borsa di studio, sono arrivata in Italia e, così, è iniziata la mia carriera».

La famiglia l’ha sostenuta in questa sua scelta?

«Mio padre era medico veterinario e scrittore, un artista che ben conosceva le esigenze dell’arte. Era anche un inventore; infatti è a lui che si deve l’ideazione e fondazione della Balkanturist, l’Organizzazione del Turismo Bulgaro. La mia casa era frequentata da pittori, musicisti, scrittori… Si parlava anche, con grande curiosità e apertura mentale, di quella che a quel tempo era l’arte proibita. Mio padre capì la mia voglia d’imparare, di perfezionarmi e tentare la via del teatro lirico; non si oppose e lo stesso fece mia madre».

Quanto è cambiato il mondo della lirica, da quando lei hai iniziato?

«Moltissimo! Oggi viviamo in un’epoca dominata dalla tecnologia e dove tutto deve essere veloce. Curiamo poco la cultura, non concediamo agli artisti il tempo di maturare, d’approfondire gli aspetti tecnici e interpretativi. La carriera per i giovani d’oggi non è facile, perché i teatri si sono ridotti di numero e con essi i luoghi dove un cantante può fare esperienza, prima di accedere a quelli importanti».

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Cosa consiglia ai suoi studenti della masterclass?

«Di lavorare senza risparmiarsi! Non devono accontentarsi mai, illudersi d’essere arrivati alla cima della montagna. Il mio consiglio è quello di preparasi soprattutto sulla tecnica, che nasce dall’amore per la musica e il rispetto per il pubblico. Con una solida tecnica vocale si possono affrontare tutti i personaggi».

Quanto vale il ruolo dell’insegnante nella formazione di un artista?

«È fondamentale. Prima di tutto, deve amare l’arte dell’insegnare. Nel 1958, quando sono arrivata in Italia, c’erano ancora i vecchi maestri che conoscevano la scuola vocale italiana. La mia prima maestra, Zita Fumagalli, aveva cantato per Leoncavallo e Mascagni; poi ho avuto Antonino Votto, Maestro della Scala e assistente di Toscanini, che dopo l’audizione disse: “Questa ragazza ha talento! Questa canterà alla Scala!”. E in quattro mesi mi ha portato ad esibirmi nel tempio della musica, dove Verdi e Puccini avevano presentato le loro opere. All’inizio, non ero brava, ma loro mi hanno seguito sempre con amore, con attenzione, ed io ho riflettuto a lungo sulle loro parole e i loro consigli. Una volta era possibile maturare; oggi le agenzie vogliono subito utilizzarti, sfruttarti e non importa a nessuno se questo comprometterà la tua voce, il tuo crescere quale interprete. Un altro nome che devo menzionare è Rosa Ponselle, che chiamavano “Caruso in gonnella!”. Mi ha aiutato moltissimo nel fraseggio all’italiana. Da lei ho capito come intonare le vocali. Dopo vent’anni di carriera, nei quali ho molto eseguito le opere di Puccini, decisi di cimentarmi in quelle che prima non mi potevo permettere, vocalmente e come maturità interpretativa. In questo repertorio mi ha molto sostenuto un grande musicologo italiano: Rodolfo Celletti. Nell’insegnare, oggi offro ai miei ragazzi l’esperienza che ho ricevuto da tutti questi musicisti, ma quando si è a contatto con i giovani, s’impara moltissimo e voi italiani siete fortunati: è la vostra lingua che fa cantare bene!».

È per questa ragione che nel 1958 ha lasciato la Bulgaria per l’Italia?

«In Bulgaria, da ragazza, avevo un amico ingegnere che di nascosto aveva costruito una radio per ascoltare le notizie occidentali. Io non conoscevo nulla dell’Occidente, non sapevo il nome di nessun cantante. Il comunismo non permetteva di ricevere informazioni dall’Europa. Un giorno, per caso, ascoltai una voce meravigliosa. Non sapevo che fosse quella di Maria Callas, ma in quel momento decisi che volevo andare nel Paese dove si cantava in quel modo. E così scelsi di partire».

A proposito della Callas, come è stato il rapporto con la “Divina”?

«La premessa è che Maria Callas possedeva una voce ed una sensibilità artistica uniche. Nessuno può paragonarsi alla Callas. Quando mi hanno contattato per l’inaugurazione del nuovo Teatro Regio di Torino, ricostruito nel 1973 dopo l’incendio, la direzione artistica aveva chiamato Maria Callas e Giuseppe Di Stefano quali registi dei “Vespri Siciliani”. Per tante ragioni, lo spettacolo nacque male e proseguì peggio, ma lei era veramente un genio! Quando apriva la partitura, si trasformava e diventava un personaggio dell’opera. Nella musica trovava la sua essenza e penso abbia vissuto bene solamente nella musica. Solamente sul palcoscenico».

Nel 1973, a Torino, si sussurrò anche del rapporto tra la Callas e Di Stefano…

«Maria non stava attraversando un bel periodo. S’era innamorata di Pippo e quando in teatro arrivava la moglie, lei s’intristiva e diventava scontrosa. Un giorno la vidi piangere…».

Cos’era accaduto?

«Dopo la prima, io e Maria ci siamo trovate nell’ascensore del Teatro insieme a Paolo Grassi, che a quel tempo era il Sovrintendente della Scala. Lui la ignorò totalmente; neppure un educato “buonasera, signora” ed io non sapevo cosa dire, cosa fare. Quando uscimmo dall’ascensore, Maria pianse».

A proposito d’amore, come ha conosciuto suo marito?

«Era il 1968 e debuttai al Comunale di Modena come Adriana Lecouvreur e due anni dopo nel ruolo di Tosca. Per Tosca avevo delle perplessità, ma mi tranquillizzarono perché avrei avuto un bravissimo regista, Franco Rossi, che all’anagrafe è Franco Guandalini. È così che ho conosciuto quello che sarebbe diventato mio marito e non mi sono più allontanata da Modena. La mia, è stata una scelta per amore».

Cosa non le piace delle produzioni liriche attuali?

«La bizzarria di certe scenografie e regie, che nulla hanno a che fare con l’opera d’arte creata dalla poesia e dalla musica insieme e, senza alcun rispetto, non tengono in conto il pensiero degli Autori. I capolavori non hanno bisogno d’essere “ammodernati” per piacere al pubblico, ma ben eseguiti e a certi personaggi si dovrebbe sbarrare la porta del teatro!».

UNA CARRIERA PRESTIGIOSA

Raina Kabaivanska è una delle cantanti liriche più importanti dei nostri tempi. Il suo debutto alla Scala nel 1961 fu l’inizio di una splendida carriera sui palcoscenici di tutti i grandi teatri del mondo. Fra i suoi partner i grandi tenori di alcune generazioni: Franco Corelli, Mario del Monaco, Jon Wickers, Carlo Bergonzi, Alfredo Kraus, Plácido Domingo, José Carreras, Luciano Pavarotti. Durante i suoi 55 anni di carriera ha interpretato ruoli indimenticabili di un repertorio che colpisce per la sua ampiezza: del 700 Gluck (Armida), Spontini (La vestale), Rossini (Guglielmo Tell); dell’800 Donizetti (Roberto Devereux, Fausta), Bellini (Beatrice di Tenda, Il pirata), Berlioz (Benvenuto Cellini), Verdi (Don Carlo, Otello, Falstaff, La traviata, Il trovatore, La forza del destino, Vespri siciliani, Simon Boccanegra, Ernani, La messa da Requiem), Wagner (Rienzi) Gounod (Faust), Čajkovskij (La dama di picche, Evgheni Oneghin), Boito (Mefistofele), Massenet (Manon, Thaïs), Catalani (La Valli), Janacek (Il caso Makropulos, Jenufa), Leoncavallo (I pagliacci), Puccini (Madama Butterfly, Tosca, Manon Lescaut, La Bohème, Suor Angelica, Il tabarro, Turandot), Richard Strauss (Capriccio), Busoni (Turandot), Cilea (Adriana Lecouvreur), Giordano (Andrea Chénier) e del 900 Malipiero (Torneo notturno), Zandonai (Francesca da Rimini), Poulenc (La voix humaine, Dialogues des carmélites), Weill (Lady in The Dark), Dallapiccola (Il prigioniero), Britten (The Turn of the Screw), Nino Rota (La scuola di guida) e opere da camera di Massenet, Chausson, Ravel, Poulenc e Shostakovich.

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