Tai Aguero, dalla fuga notturna ai campi di volley: «E ora mi batto contro il bullismo»
La fuoriclasse cubana testimonial di “Fuori la voce” «Lo sport può fare tanto, ma la famiglia è determinante»
CARPI. «Ho scelto di diventare ambasciatrice contro il bullismo perché ho due bimbi piccoli e a loro sto insegnando l’importanza dello stare bene tutti insieme. Fare sport è una strada per imparare a comunicare con le persone e ricordarci che siamo tutti uguali, senza distinzione di colore della pelle. Noi genitori abbiamo un ruolo fondamentale in questo». Parola di Taismary Aguero, 42 anni, una delle più forti giocatrici di pallavolo del mondo che nella sua carriera ha inanellato successi e raggiunto le vette agonistiche. “Tai”, questo il suo soprannome, ha raccontato il suo essere testimonial per “Fuori la voce”, associazione che promuove momenti contro il bullismo e la violenza di genere, ospitata a Carpi dal salone di parrucchiere Danys Fashion. Tai è nata a Cuba ed è approdata alla Corte dei Pio conquistando una cittadinanza italiana che le è costata tanti sacrifici e sofferenze, come lasciare la sua patria senza potervi fare rientro.
Taismary, è stato semplice, all’inizio, coltivare la passione per la pallavolo?
«Quando avevo 16 anni l’allenatore, a Cuba, mi diceva che ero troppo bassa per poter giocare. Ma la coach con la quale mi allenavo sosteneva che avevo tutte le carte in regola per diventare una pallavolista. Così mi sono esercitata tantissimo per sviluppare la mia elevazione, e ho potuto tagliare traguardi anche molto importanti».
È servita grinta in campo, ma anche fuori nella sua vita per coltivare il suo sogno di vivere in Italia…
«Il governo cubano non ha mai mantenuto le promesse che ha fatto alle sue atlete e ci aveva garantito che se avessimo conquistato le olimpiadi di Sidney saremmo state libere di continuare a giocare anche all’estero. Cuba ha vinto, ma a noi non era permesso ugualmente di uscire dalla nostra patria. Così ero a casa, ma dentro di me il tempo trascorso a Perugia, un anno prima, era un ricordo indelebile. Nel giugno del 2001 ero in Svizzera, a Montreux, per un tour europeo con la nazionale. La cena era pronta nell’albergo dove alloggiavo con le compagne. A un certo punto ho fatto finta di salire in camera perché dovevo prendere qualcosa che mi ero dimenticata, ma non era così. Ho preso un’uscita secondaria, dove c’erano due mie amiche ad attendermi: Anna Maria e Chiara. Mi aspettavano, in auto, con il motore acceso. Mi sono coricata nei sedili posteriori, sperando di passare inosservata ai confini con l’Italia. È andata bene e nessuno mi ha controllato i documenti».
Per effetto della legge Bossi - Fini, lei, Aguero, una delle più forti in campo, era una clandestina qualunque…
«Sempre Anna Maria, la mia amica, mi ha assunta come cameriera e mi ha versato i contributi. Nel frattempo, mi sono tesserata con Perugia. E nel 2005 ho sposato Alessio, diventando cittadina italiana a tutti gli effetti. Ma non è stato semplice: avevo tradito Cuba, essendo fuggita. Non ho fatto in tempo nemmeno a raggiungere mia mamma, prima che morisse. Era il 2008, ero alle Olimpiadi di Pechino, con la Nazionale italiana: quando mi hanno concesso il visto era troppo tardi».
E l’arrivo a Carpi?
«È stato nel 2011 quando ho iniziato a giocare per la Liu Jo. Qui ho conosciuto mio marito e qui vivo, insieme ai miei due bimbi che sono le persone più importanti e preziose della mia vita».