Claudia, figlia dell’anarchico Pinelli, a Carpi: «Chi sa la verità non la nasconda»
Cinquant’anni dopo la strage di piazza Fontana nessun responsabile: l'argomento al centro di un incontro organizzato dal circolo Arci "Menotti"
CARPI. «C’è chi sa cos’è successo dopo il fermo, illegale di mio padre, in privazione di cibo e sonno: dopo 50 anni certe omertà dovrebbero cadere in una democrazia compiuta. E non solo per la nostra famiglia, ma per tutti. L’esistenza di un muro da scalfire, di fronte a richieste “normali” come quella di sapere la verità, è una sconfitta della democrazia». Parola di Claudia Pinelli, figlia di Giuseppe, anarchico, partigiano e ferroviere, morto precipitando da una finestra della Questura di Milano, tra il 15 e il 16 dicembre 1969, dov’era trattenuto, oltre le 48 ore del fermo, per accertamenti dopo la strage di piazza Fontana. Oggi, 19 gennaio, Claudia è stata, all'Arci Arcobaleno, via Giliberti a Santa Croce, protagonista di un incontro organizzato dal circolo Arci "Menotti".
«Grazie alla desecretazione degli atti e alla possibilità di accedere agli archivi molte cose sono emerse, anche in merito alla presenza di servizi segreti in Questura a Milano quella notte. Ci sono voluti oltre 40 anni perché ottenessimo il primo riconoscimento da parte del presidente Napolitano. E per il 50esimo sono arrivate altre attestazioni, un piccolo passaggio verso la verità che aspettiamo. Quello che ha portato avanti la mia famiglia, mia madre Licia in primis, è stato fatto per tutti. Siamo stati, in questi anni, una piccola goccia d’acqua resistente, senza rabbia, né desiderio di vendetta».
«Sulla strage di piazza Fontana misteri ce ne sono pochi - continua Claudia Pinelli - I giudici hanno deciso che non c’erano prove per attribuire responsabilità. Ma la matrice è chiara e documentata. Gli storici si basano sulle sentenze che non divergono mai, ma non individuano responsabili. Io non posso dire cos’è avvenuto in quella stanza e i presenti hanno fornito versioni concordate. L’unica sentenza del giudice D’Ambrosio parla di “malore attivo”. Comporta che tutti abbiano mentito, ma non sia successo nulla». Ma c’ è spazio anche per il ricordo tenero della figlia. «Mio padre era estroverso, comunicativo, sempre entusiasta. Nel 1969, dopo lo sbarco sulla luna, costruì un telescopio con due lenti con cui ci faceva vedere la luna. io non capivo cosa ci fosse di bello in quell’oggetto pieno di fori. Quando i nostri genitori venivano a prendere a scuola me e mia sorella Silvia, con papà si andava alle giostre e a prendere il gelato. Con mamma si tornava a casa». E una certezza: «Non intendo impegnarmi politicamente, non voglio speculare su mio padre». —
S.A.