Azienda Bianchini assolta «Amianto, dolo non provato»
L’inquinamento accertato non è imputabile anche se dovuto a imprudenza Non c’era volontà di spargere materiali vietati. Diverse le valutazioni della Procura
Francesco Dondi
Assoluzione bis per la famiglia Bianchini, Lauro Alleluia e Francesco Passiatore dall’accusa di traffico illecito di rifiuti.
Lo ha stabilito il collegio giudicante del processo di appello di Aemilia, motivando la decisione con alcune righe utili a capire il perché non sia stato accolto il ricorso dei Comuni di San Felice, Finale, Concordia, Unione Area Nord e Consorzio Ricommerciamo di San Felice.
L’accusa era connessa alla presenza di amianto sparso in diversi siti collegati alla ricostruzione post terremoto tra cui le scuole elementari di Finale, quelle di Concordia, il centro commerciale Ricommerciamo e parte del territorio di San Felice. Ma l’inquinamento – accertato – non è imputabile a nessuno perché manca il dolo.
«L’ atteggiamento che connotò la condotta degli imputati non è bastevole a delineare il dolo specifico del reato, che è quello di aver deliberatamente allestito un traffico illecito di rifiuti, al fine di conseguirne un ingiusto profitto», scrivono i giudici. I quali non omettono di definire l’atteggiamento di Augusto Bianchini e dell’intera Bianchini Costruzioni “imprudente, negligente e disinvolto” ma mai caratterizzato dalla volontà di spargere amianto in modo consapevole.
«Non è agevole immaginare che la Bianchini Costruzioni – aggiungono il presidente della Corte d’Appello, Alberto Pederiali, insieme ai colleghi - che da quaranta anni lavorava per i Comuni interessati ai cantieri ove poi venne trovato l’amianto, potesse utilizzarvi deliberatamente materiale contaminato, tanto più che si trattava di cantieri installati nel dopo terremoto, in cui i controlli erano molto probabili».
Ad influire sulla sentenza di assoluzione, già pronunciata anche dai giudici di Reggio Emilia, ci sono inoltre alcune intercettazioni parecchio divisive. Per la Procura Generale sono la testimonianza della consapevolezza del dolo e dello spandimento volontario di amianto. Per quelli in Appello si tratta invece di un autorimprovero per essere stati superficiali e “prepotenti”. «Emerge - scrivono in buona sostanza - un atteggiamento psicologico degli imputati gravemente colposo, ma non volontariamente indirizzato a procurarsi un ingiusto profitto sul presupposto di una consapevole gestione di materiale contenente amianto». E ancora il rammarico di Bruna Braga nelle conversazioni con il marito Augusto Bianchini è dovuto alla mancanza di attenzione nel ritiro di ciò che poi si sarebbe scoperto essere amianto e non fibrocemento. I giudici di Bologna approfondiscono anche il “magrone”, ovvero l’accumulo di detriti fatto realizzare di notte nel piazzale dell’azienda Phoenix.
«L’obiettivo – disse la Procura – era coprire l’amianto ed evitare controlli».
«Sono condotte - ribattono in Appello - che non valgono, da sole, tanto meno in un contesto probatorio costellato di indici probatori di segno contrario, a dimostrare una consapevolezza a priori».
Tradotto. Il magrone potrebbe essere stato realizzato con un fine doloso, ma non è sufficiente a giustificare una condotta complessiva da perseguire penalmente.
Alla luce di tutto ciò l’appello è stato respinto così come quello collegato in cui si contestava l’aggravante mafiosa per aver agevolato l’infiltrazione mafiosa.
Conclusione. San Felice e la Bassa si terranno il loro amianto – laddove ancora c’è – sparso però senza alcun dolo dalla Bianchini Costruzioni. —