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Il partigiano Levoni è un caso «Elogi a Bolsonaro e fantasie»

Alfonso Scibona
Il partigiano Levoni è un caso «Elogi a Bolsonaro e fantasie»

L’attacco di Bertoni, ex presidente dell’Anpi, dopo la visita del 92enne al premier «Strumentalizzato dalle destre continua a mistificare la storia della Resistenza»

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Alfonso Scibona

«Il partigiano Levoni non può essere al tempo stesso sostenitore della Resistenza e fan di chi, come Bolsonaro, ha una visione violenta della politica, fa della prevaricazione e dell’intimidazione strumenti di gestione del potere, esprime una leadership spiccatamente antidemocratica e autoritaria».

Così Antonia Bertoni, ex presidente di Anpi Sassuolo, dopo aver sentito le parole di Romano Levoni, cui è stato dato da intervenire nel corso della cerimonia di sabato. «Ancora una volta – continua Bertoni – come avviene da molti anni ad ogni celebrazione istituzionale, il 25 aprile, l’8 settembre e ora purtroppo il 4 novembre, il sedicente partigiano Levoni ha dato scandalo pubblico aggredendo verbalmente e insultando con odio e astio palesi la rappresentanza dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia-Sassuolo presente all’evento istituzionale, proferendo non richiesto un discorso ai limiti della denuncia nel silenzio delle autorità presenti, davanti alla cittadinanza. Sin dagli anni Settanta privatamente, poi con l’uso politico della sua figura da parte di alcuni Amministratori comunali dal 2010 pubblicamente, Levoni ha accusato l’Anpi di Sassuolo di mistificare la storia, di manipolarla, di mentire, di voler nascondere la verità sull’assassinio di Rossi, il comandante della prima formazione sassolese e di sminuire il ruolo di Levoni stesso nella guerra partigiana».

Bertoni passa poi a darne maggior colpa alla destra. «Fallito il tentativo della destra di attribuire ai partigiani una sanguinosa strage di militari prigionieri nel palazzo ducale, la famosa fake degli “scheletri a Palazzo Ducale” – accusa – Levoni pieno di astio e risentimento si è prestato come docile strumento a costruire una nuova narrazione falsa della liberazione di Sassuolo, con l’intenzione di sottrarre il merito storico alle formazioni partigiane per attribuirlo al corpo di spedizione brasiliano Feb, che diversamente dal caso di Montese, non ebbe combattimenti in città ma solo attraversò Sassuolo nella piena mattinata del 23 aprile 1945 lasciandovi due autoblinde a guardia delle piazze. La città era già stata liberata dai partigiani con due caduti e alcuni feriti che rimasero invalidi permanenti. Nel discorso pubblico e negli scritti di Levoni stampati nel 2010 dall’amministrazione comunale della Giunta Caselli e usciti sui giornali negli anni, l’anziano partigiano accusa Anpi-Sassuolo, che nel gennaio del 1944 non era neppure nata, di responsabilità nell’uccisione di Rossi. Accusa inoltre Anpi di aver attribuito troppa gloria a Ottavio Tassi, ad Armando Ricci, a Giuseppe e Norma Barbolini, ai quali furono conferiti onori militari dagli Alleati e dallo Stato italiano, e poca per sé poiché il suo ego è così sconfinato da manipolare persino la storia generale e la sua vicenda esistenziale di giovanissimo (ma non il più giovane, classe 1929) partigiano. Si attribuisce infatti scontri e combattimenti che non ha mai sostenuto, a differenza del fratello Carlo, e che perlomeno quando la sua memoria era più attendibile, nel 1946, non ha mai dichiarato nella sua scheda personale».

Il finale, ancora accusatorio contro di lui e di richiamo su chi governa la città. «Dietro tutto ciò appare la fantasia ormai distorta dagli anni di un anziano che, lui sì, manipola la realtà costruendo narrazioni che non hanno alcun fondamento, ma che sono utili a chi nascosto dietro di lui ha come fine di gettar fango su Anpi. L’amministrazione comunale, deve garantire che durante eventi ufficiali non si verifichino più situazioni di questo tipo e ci aspettiamo che questo accada già dal 25 aprile prossimo».

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