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Lettera aperta

Frassinoro Alessandro e quel tragico incidente: «Ancora rivedo i fari che mi abbagliano Ho subito sei operazioni, ho sofferto ma non dirò mai che va male»

Alessandro Tazzioli
 Frassinoro Alessandro e quel tragico incidente: «Ancora rivedo i fari che mi abbagliano Ho subito sei operazioni, ho sofferto ma non dirò mai che va male»

»Grazie a tutta la mia famiglia che ha condiviso il mio stesso dolore, alla mia ragazza e agli amici di sempre che mi hanno sostenuto; ma soprattutto grazie a chi mi ha soccorso e curato»

10 agosto 2022
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FRASSINORO Sono passati più di sette mesi da quel giorno, più di metà anno da quel 26 dicembre scorso. Sembra passata una vita e al tempo stesso, se ci penso, posso ancora vedere i fari che mi abbagliano, posso sentire il rumore assordante dell’impatto, è come se potessi toccare con mano il buio e il silenzio dei momenti immediatamente successivi.

Parto con una premessa, dicendo che questo non è un modo per creare polemica né un tentativo di ricevere compassione, è semplicemente il mio modo per ringraziare, a mente fredda, chi mi è restato vicino nel momento più difficile della mia vita. Al di là di chi, come al solito, non ha perso l’occasione per dare aria alla bocca, voglio fare un po’ di chiarezza su quanto accaduto nei mesi passati. Dopo l’incidente sono stato trasportato all’ospedale civile Baggiovara dove sono stato ricoverato e operato d’urgenza. Dal 26 dicembre al 14 gennaio, giorno in cui sono stato dimesso, ho subito sei operazioni diverse. Primariamente sono stato sottoposto ad un duplice intervento per la ricostruzione del naso e per la sistemazione della gamba, dove mi sono stati applicati due fissatori esterni. Il 31 dicembre ho subito il primo intervento al femore, alcuni giorni dopo un altro, questa volta alla tibia.

Successivamente sono stato operato alla testa, precisamente all’arteria temporale per una bolla di sangue formatasi a causa del trauma. Vorrei specificare una cosa che forse non tutti sanno: a causa della mia malattia non posso essere sottoposto a nessun tipo di antidolorifico che non sia la semplice tachipirina; altrettanto pericolose sono per me le anestesie; come è facile immaginare tutti questi interventi il mio fegato non li ha retti per cui ho affrontato un ciclo di plasmaferesi. Qualche giorno più tardi il foro nella gamba provocato dall’uscita del femore spezzato ha fatto infezione per cui sono stato sottoposto ad un ultimo intervento in cui sono stati rimossi i tessuti infetti, questa volta senza una vera anestesia. Dopo venti giorni sono tornato a casa. In questi giorni ricevo molte domande riguardo la mia salute; le persone vicine a me sanno che non risponderò mai negativamente, per il semplice fatto che il mio carattere mi impedisce di essere negativo, di cedere al dolore.

La verità è che ora vivo, non la vita che vivevo prima, ma comunque una vita e questo non è scontato. Ora sto meglio, ma non è comunque una storia chiusa, non lo sarà mai: una vicenda del genere non la puoi dimenticare ed è giusto non dimenticarla. Sono convinto che ogni vicenda nella vita di una persona avvenga per una ragione, se c’è una cosa che ho capito è che il meglio viene dalle situazioni peggiori ed è proprio lì che vivi, che scopri quanto sottile sia la linea che separa la vita dalla morte e al tempo stesso quanto alto sia il valore dell’esistenza.

Un articolo non basta per raccontare ogni aspetto di questa vicenda. Manca il dolore, fisico e non; manca l’umiliazione, la speranza, la paura, il coraggio, ma soprattutto manca un grazie. Grazie alla mia mamma e al mio papà, vittime innocenti e protagonisti quanto me di un dolore che non meritavano. Solamente loro sanno cosa realmente ho passato, soltanto mio papà sa cosa significa lanciarsi alla ricerca di un figlio e trovarselo con una gamba spezzata in tre e una maschera di sangue in volto; solamente mia madre sa cosa significa passare venti giorni e venti notti accanto ad un figlio in preda a dolori lancinanti e non poter fare assolutamente nulla.

Grazie a tutta la mia famiglia che ha condiviso il mio stesso dolore, alla mia ragazza e agli amici di sempre che mi hanno sostenuto; ma soprattutto grazie a chi mi ha soccorso: il 118 di Montefiorino, i vigili del fuoco di Frassinoro, i carabinieri di Frassinoro e Pavullo. Un grazie infinito a chi si è preso cura di me in ospedale in particolare alla dottoressa Cristina Zapparoli, il dottor Defino, il professor Andreone e tutta l’equipe medica e infermieristica del reparto di ortopedia, T.I.P.O e metabolica di Baggiovara.

Grazie all’associazione CIAMI Onlus, a Velio e al dottor Ronchi che mi ha seguito a distanza. Infine grazie a chi è stato vicino a me e alla mia famiglia anche solo con un messaggio. “La vita saprà ripagarti di ogni cosa”. l © RIPRODUZIONE RISERVATA