MODENA L’assassino di Alice Neri ha fatto tutto da solo? O ha avuto un complice soprattutto nella “gestione” della situazione dopo che lei era morta? È l’interrogativo che sorge spontaneo, alla luce della notevole freddezza e organizzazione che emergono nel seguito, tanto che a dieci giorni del delitto non sono ancora emerse prove tali condurre in carcere qualcuno. Ammesso che sia stato un delitto d’impeto, stupisce la modalità senza sbavature apparenti con cui è stato affrontato il dopo. Tanto che, se fosse tutto opera di uno solo, dagli elementi d’indagine finora noti si potrebbe anche pensare alla premeditazione. La gestione del telefono di Alice, intanto. Chi l’ha preso in mano, alle 3.40 ha avuto la lucidità di disattivare la localizzazione senza farsi prendere dal panico. Uno preso dal panico e dal terrore per quello che era successo, forse avrebbe semplicemente spento l’apparecchio. Invece lui ha pensato bene di non rendere localizzabile il telefono pur mantenendolo acceso. Per fare cosa? Probabilmente cancellare messaggi che potevano ricondurre a lui. Finché alle 6 il marito non ha cominciato a fare una raffica di telefonate (una decina ha riferito il fratello di Alice), fino ad azionare alle 7 la app “Find my phone” che fa squillare per 5 minuti il telefono. Solo a quel punto ha spento. Verrebbe da chiedersi perché non ha spento subito alle 6 alla prima telefonata: forse aveva qualcosa ancora da completare su quel telefono. Che doveva fare lui o qualcun altro. Se qualcuno ha preso in mano il telefono di Alice dalle 3.40 in poi, si suppone che lei fosse già morta. La sua Ford Fiesta col cadavere nel baule è stata presumibilmente incendiata alle 18, per essere poi ritrovata alle 21 ormai a fine combustione. Se i tempi sono confermati, significa che per 14 ore circa l’assassino è riuscito a “gestire” il cadavere senza farsi scoprire. Non male per uno che si è trovato ad affrontare l’imponderabile. Una persona che frequenta la zona di Fossa, dove è stata rinvenuta l’auto, ha detto di non averla vista lì alla mattina. Allora vorrebbe dire che l’assassino aveva trovato un posto dove nasconderla per tutta la giornata, per poi portarla lì a sera. A casa sua? O a casa di un complice? D’altronde, l’assassino non si poteva certo permettere il rischio di lasciare l’auto col cadavere nel baule per tutto il giorno a Fossa: poteva insospettire qualcuno, visto che l’allarme scomparsa era già stato dato. Poteva essere scoperta l’auto col cadavere ancora dentro e non bruciato, che avrebbe dato molti più elementi di prova. Anche la scelta stessa di bruciare il cadavere fa pensare a una certa riflessione sul come cercare di uscire indenne da un delitto che non ha affatto sconvolto chi l’ha eseguito. Non è da tutti avere una tanica di benzina o gasolio pronta piena a casa. Se fosse stata vuota, le telecamere di uno dei distributori della zona avrebbero filmato l’insolito prelievo, facendo correre così un altro grande rischio all’assassino. Da ultimo, stupisce il fatto che l’assassino riesca a tenersi dentro l’atrocità di ciò che ha commesso: non solo ha ucciso, ha anche bruciato una persona. Non crolla, non confessa. Non vuole pagare. Sembra convinto di poter convivere col suo segreto. E di poter continuare ad abbracciare a casa i propri cari nascondendo l’orribile verità. l &nbsp;

MODENA L’assassino di Alice Neri ha fatto tutto da solo? O ha avuto un complice soprattutto nella “gestione” della situazione dopo che lei era morta? È l’interrogativo che sorge spontaneo, alla luce della notevole freddezza e organizzazione che emergono nel seguito, tanto che a dieci giorni del delitto non sono ancora emerse prove tali condurre in carcere qualcuno. Ammesso che sia st...

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Le indagini

Più emergono elementi dalle indagini sull’omicidio di Alice Neri più stupisce l’organizzazione che c’è stata nel gestire il cadavere

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