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Montecreto. La scelta di Melissa e Mattia: «Crescere i bimbi sui monti»

Alice Benatti
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Coppia di ventenni ha deciso di vivere insieme fuori dalla città

13 settembre 2023
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Melissa Turrioni, educatrice di 30 anni, da sette vive con il marito Mattia Lorenzini e il piccolo Tommaso, di un anno e mezzo, nella piccola frazione di Acquaria a Montecreto, sull’Appennino modenese. Dopo aver frequentato le scuole in città, a Modena, la decisione di trasferirsi in montagna, dove in adolescenza ha trascorso quasi tutti i fine settimana nella casa dei nonni, è venuta naturale. Eppure, è in controtendenza rispetto a quella di tanti coetanei, che invece, una volta raggiunta l’età adulta, scendono a valle o emigrano all’estero. Una dimensione ritenuta perfetta anche dal suo compagno che, pur lavorando con la tecnologia (è videomaker e fotografo), ora si ritrova spesso a spaccare la legna per il loro camino. Due anni fa, grazie al contributo a fondo perduto che la regione Emilia-Romagna ha messo a disposizione delle giovani coppie per ripopolare la montagna, hanno potuto comprare casa. Da qualche giorno, poi, alla loro porta ha bussato la notizia che non dovranno più pagare la retta del figlioletto al nido.

Melissa, cos’ha pensato? Da mamma ed educatrice.

«Ho pensato “finalmente”. Anche se dobbiamo ancora capire come funzionerà realmente dal momento che non c’è stata nessuna comunicazione ufficiale da parte del Comune. Da educatrice sono felice che il nido diventi davvero alla portata di tutti perché credo che per i bimbi rappresenti un percorso di crescita importante. Qui, ancora, tante persone pensano siano troppo piccoli per frequentarlo o che sia una spesa superflua se hanno i nonni disponibili a tenerli a casa. Ad ogni modo, da quando le rette si sono abbassate ed è stato introdotto il bonus nido – che prevede comunque l’anticipo della rata, poi rimborsata –, i numeri sono aumentati. Vedremo adesso cosa succederà».

Quanto costa la retta di un nido in un comune montano?

«Ad esempio, l’anno scorso a Fanano 220 euro part time e 280 euro a tempo pieno».

Dal suo punto di osservazione, qual è la situazione dei nidi in Appennino modenese? Innanzitutto: lei è contenta?

«A Sestola come a Fanano si parla di micronido perché c’è una sezione unica, che aggrega bimbi di età diverse. Lavorando io in quello di Sestola non ho potuto inserirci mio figlio, perciò devo farmi 30 minuti di macchina per portarlo in quello di Fanano. Entrambe le strutture sono belle ma stanno utilizzando la clausola che permette di aumentare del 10% la capienza massima con il risultato che le sezioni sono molto numerose e, per lavorare bene, i bambini vanno suddivisi in piccoli gruppi. Secondo me ciascuna dovrebbe averne massimo 14/15. Il nido di Pavullo invece è un bellissimo polo, nuovo e ben strutturato. Ha dato la possibilità di accogliere quasi tutti i bimbi in graduatoria, aprendo nuove sezioni».

Quanto è stato importante per la sua famiglia il contributo a fondo perduto che avete ricevuto dalla Regione per la vostra casa?

«È stato un sollievo, davvero un grande aiuto. Abbiamo avuto la possibilità di comprare casa senza arrivare con l’acqua alla gola anche se i soldi sono entrati solo dopo aver fatto il mutuo, quindi, comunque, l’anticipo e spese iniziali ci sono state e si sono fatte sentire».

Lei e suo marito avete trent’anni. Cosa vi ha spinti a scegliere di vivere in montagna sette anni fa?

«Il caos della città, che odiamo. Avevamo già in mente di volere dei bambini e ci piaceva l’idea di crescerli in un ambiente più tranquillo e meno frenetico. Oggi Tommaso è libero di passare tanto tempo a giocare all’aria aperta, a diretto contatto con la natura. Ha la possibilità di scoprire e vivere ambienti come orti, fattorie e boschi, per cui dalla città altri bambini fanno delle gite apposite insieme alle famiglie o agli educatori. Poi va detto che io e Mattia amiamo la vita di paese, dove più o meno ci si conosce tutti, dove forse ci sono un po’ meno pericoli e dove i ritmi di vita sono sicuramente messo stressanti: spesso, ancora, collego il vivere qui all’idea di vacanza. L’aria è senz’altro più pulita e il clima, fresco, più piacevole».

Perché pensa che molti giovani decidono di lasciare, invece, la montagna trasferendosi in città?

«Premetto che l’Appennino modenese è vasto, con differenze importanti da Comune a Comune, ma la lista dei motivi è lunga e in generale comincia dalla carenza di servizi. Faccio un esempio: da casa nostra passa un bus una mattina e uno alle 17, stop. L’offerta culturale poi è scarsa: il teatro è inesistente e il cinema obsoleto – a Pavullo, a Sestola è proprio chiuso–, costringendoci ad andare a Modena o a Bologna ogni volta che vogliamo vedere un film. Ci sono pochi locali in cui uscire e nei periodi morti, come questo, anche i ristoranti sono quasi tutti chiusi: oggi non troviamo un ristorante aperto per pranzo. Tornando al tema educativo, non c’è un doposcuola e, in generale, ci sono pochi servizi per i ragazzi. L’offerta sportiva è buona ma spesso comporta spostamenti importanti (da Sestola a Pavullo sono 40 minuti di macchina, ad esempio) quindi conciliare lavoro e tempo libero può comportare rinunce».

Sul fronte lavoro?

«L’offerta lavorativa ruota attorno al turismo quindi molti lavori sono stagionali. In generale, per lavorare spesso dobbiamo spostarci. Con mio marito diciamo spesso che, a parte poche eccezioni, gli imprenditori non cercano di creare novità. Sestola, ad esempio, secondo noi punta ancora quasi esclusivamente sullo sci».