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Il cold case

Modena. «Montanari ucciso per errore».  Il papà di un bimbo in Procura

Luca Gardinale
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Le rivelazioni del giornalista Pier Luigi Salinaro, che ha fatto riaprire il caso:  «In sala parto commessi errori terribili, ma al professore fu nascosto tutto»

15 settembre 2023
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Il professor Giorgio Montanari, primario di Ostetricia e Ginecologia al Policlinico freddato con 7 colpi di pistola nel parcheggio dell’ospedale la sera dell’8 gennaio 1981, è stato ucciso per errore. A rivelarlo è l’ex giornalista della Gazzetta Pier Luigi Salinaro, che insieme alla criminologa Antonella Delfino Pesce ha studiato tutte la carte del fascicolo, portando alla riapertura del caso. «Montanari è stato ucciso per errore - conferma Salinaro - perché lui non c’entrava nulla con quanto accaduto in sala parto la sera in cui venne commesso uno dei più raccapriccianti errori medici durante un parto».

Il riferimento è a quanto avvenne al Policlinico pochi giorni prima dell’omicidio, quando «una partoriente si trovò in una situazione critica - riprende Salinaro - ma in sala parto c’era solo una specializzanda, la quale, vista la situazione estremamente complicata, chiamò quello che doveva essere il medico di turno. Durante quel parto, però, furono commessi errori tali da rendere il bambino spastico, tanto che oggi quella persona è in carrozzina. Non solo - incalza il giornalista - in seguito al parto eseguito in modo probabilmente non consono alle procedure, il piccolo fu vittima di una grossa emorragia, tanto che si salvò a stento». Per quanto riguarda la cartella clinica, a firmarla fu la specializzanda, con uno “scarabocchio” del medico di turno, mentre il professor Montanari venne tenuto completamente all’oscuro di quello che era successo. «Solo successivamente - riprende Salinaro - il direttore della clinica si rese conto di quanto era successo, tanto che il 6 gennaio 1981, due giorni prima di essere ucciso, Montanari si recò a Verona. Anna Ponti, la moglie del professore, non ricorda per quale motivo il marito si fosse recato a Verona in un giorno festivo, per l’Epifania, ma si ipotizza che il direttore della clinica ostetrica si fosse recato a Verona dal suo maestro Vecchietti, molto probabilmente per mostragli le cartelle cliniche e chiedere consiglio su come doveva agire di fronte all’obbrobrio commesso in sala parto».

Nei due giorni successivi, tra il 6 e l’8 gennaio, ci fu un colloquio riservato tra Montanari e il medico che era in sala parto quel giorno. «La cosa non ebbe seguito - spiega ancora il giornalista - anche perché nemmeno 24 ore dopo, alle 20 dell’8 gennaio ’81, Montanari venne ucciso con 7 colpi di pistola». Il nostro collega, insieme alla criminologa dell’Università di Bari Antonella Delfino Pesce, che aveva già risolto tre delitti insoluti, esaminò quindi tutte le 2.500 pagine del fascicolo delle indagini. «Entrambi riscontrammo una serie di errori madornali commessi fin dall’inzio - spiega ancora Salinaro - come ad esempio la mancanza di una foto dell’interno dell’autovettura di Montanari, un Maggiolino con cambio automatico. A terra, oltre agli occhiali del professore, c’era anche una scatolina azzurra, una sorta di piccola bomboniera. Quella foto non venne mai repertata e messa agli atti. Non solo: dopo il delitto, l’auto venne recuperata da Longagnani e portata nel cortile e i carabinieri di via Tassoni. All’epoca, infatti, la Questura era in via Saragozza e non c’era posto per lasciare l’auto. Ebbene, la macchina restò lì per due giorni prima di essere prelevata da una cara conoscente della vedova Montanari e portata alla rottamazione: in sostanza, nei due giorni in cui l’auto rimase ferma, non venne fatto alcun rilievo dattiloscopico, che sarebbe stato fondamentale, perché prima di sparare l’omicida ebbe senz’altro un dialogo con il professor Montanari, e quindi in un modo o nell’altro avrebbe dovuto lasciare le sue impronte sull’autovettura».

L’indagine iniziò a escludere diverse persone, soprattutto medici, anche perché secondo quanto sostenuto dall’allora direttore della Medicina legale, il compianto professor Francesco De Fazio, il delitto era stato inquadrato come un omicidio intramurario. «Cosa assolutamente sbagliata - riprende Salinaro - perché dopo decine di incontri con chi era ancora vivo della clinica, la professoressa Delfino escluse che potesse trattarsi di una persone che lavorava al Policlinico. A questo proposito, va ricordato che il professor Montanari non aveva mai assistito una donna in sala parto, in quanto era un chirurgo ginecologo». Salinaro e Delfino Pesce hanno quindi iniziato a esaminare le cartelle cliniche, arrivando a individuare un nome, ovvero quello del padre del bimbo, un modenese che oggi ha 65 anni: «A febbraio scorso - riprende Salinaro - abbiamo consegnato al dottor Paternoster le conclusioni in un lungo fascicolo in cui indicavamo il movente e l’autore dell’omicidio». Il Sit - Sommarie informazioni testimoniali - fu quindi invitato a non dire nulla della vicenda finché le indagini erano in corso: «Il dottor Paternoster - spiega ancora Salinaro - consegnò il nostro rapporto al procuratore capo Masini, il quale, letto il fascicolo, diede il via alle nuove indagini, dimostrandosi fermamente convinto che quella indicata da noi potesse essere la pista giusta».

A questo proposito, proprio ieri, da fonti della Questura, è trapelata l’indiscrezione che l’uomo indicato nel rapporto Delfino Pesce-Salinaro sia già stato sentito come persona informata dei fatti. Solo successivamente la Procura ne avrebbe iscritto il nome sul registro degli indagati: un atto dovuto per concludere l’indagine, arrivata in un momento estremamente delicato, in quanto, come si dice in gergo, è necessario trovare “la pistola fumante, cioé avere la prova della colpevolezza dell’indagato. Al momento in cui è stato sentito in Procura, infatti, l’uomo era solo una persona informata dei fatti, e quindi non aveva l’obbligo e la necessità di nominare un difensore. «Solo al termine delle indagini - chiude Salinaro - si saprà se quella persona è stata formalmente accusata del delitto».