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Maranello. Forapani, chef dai piatti autentici: «Adoro emozionare i clienti»

Maranello. Forapani, chef dai piatti autentici: «Adoro emozionare i clienti»

Al timone del Cavallino: «Decisivo l’incontro con Bottura»

10 novembre 2023
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Maranello Fin da ragazzino sognava di essere il numero uno. Un sogno che ha coltivato mettendo dedizione, metodo e passione in tutto: da quando a 8 anni si è cimentato nel ciclismo vincendo numerose gare, fino ad oggi, fedele al suo pigmalione, Massimo Bottura, da 13 anni, che lo ha scelto per metterlo al timone del nuovo concept del Ristorante Cavallino di Maranello.

Stiamo parlando di Riccardo Forapani, classe 1985 di Mirandola, “chef de cuisine” del ristorante Cavallino di Maranello che lunedì, all’Acetaia Giusti, ha ricevuto il premio come “giovane dell’anno” dalla “Guida Emilia Romagna a Tavola”. Se il “fuoco” per la cucina è sempre arso dentro di lui è stata la moglie Licia ad accendere la prima scintilla anche all’esterno. «Licia, che sapeva cosa avrei sempre voluto fare nella vita, decise di farmi un regalo speciale per il mio ventesimo compleanno a mia insaputa invia una email al suo “mito”, Massimo Bottura, chiedendogli la possibilità di conoscerlo. Bottura, contro ogni aspettativa, risponde personalmente a quella email, invitandomi in Francescana. Il caso volle che proprio in quel periodo stavano cercando personale e quell’incontro si trasforma in colloquio e poi in assunzione. Avevo vent’anni e pensavo di aver toccato il cielo con un dito».

Racconta lo chef che all’inizio sono stati anni molto duri, di grande sacrificio e completa dedizione al suo lavoro per apprendere tutto quanto poteva. Ma un giorno il giovane riesce a conquistare un posto fisso nello staff di Bottura e, come in passato aveva fatto nel ciclismo, ad indossare la maglia di una squadra prestigiosa, pronto ad ardere di passione per dimostrare la sua creatività e il suo istinto anche in cucina. Chi lo conosce e ha provato la sua cucina afferma che «quello che “trasuda” in tutti suoi piatti, tanto autentici perché affondano nelle profonde radici della tradizione quanto innovativi perché si evolvono rappresentando la sua interiorità, è un sapore che sa di “primordiale” e che ti spinge a mangiare usando le mani, lasciando da parte le buone maniere del galateo per gustare tutto il succo della sua creatività esplosiva e trascinante. C’è un piatto, dedicato a se stesso, che rispecchia esattamente questa sensazione. Lo ha chiamato “Io sono io”: ha usato le interiora, il fegato, il sangue perché lui è introspettivo, passionale, viscerale ed è quello che vuole trasmettere attraverso i suoi piatti».

«Quando decido di preparare un piatto io lo visualizzo a priori- racconta Riccardo – è come se nella testa mi si creasse una sinfonia di colori, profumi e sapori: è come se gli ingredienti mi parlassero. Cucino al buio e non assaggio quasi nulla. Ma la mia cucina non è solo pura creatività, perché ho avuto la fortuna di essere forgiato da una rigida scuola che mi ha insegnato il valore e il rispetto delle materie prime. Non esistono scarti, tutto è riciclabile e riutilizzabile. La sostenibilità per me è un concetto fisiologico, insito nel mio modo di intendere il mio lavoro, da sempre».

Se gli si chiede cosa lo rende felice, Riccardo risponde senza esitazione che «cucinare è prima di tutto un atto di amore».

La sua felicità «è poter accogliere i clienti» nel suo mondo interiore e «ristorarli» con le sue suggestioni culinarie. Quel ristoro inteso nell’accezione etimologica del termine: «È la felicità di sapere di averli soddisfatti, di avergli dato sollievo, di averli emozionati attraverso il ricordo di un odore, di un sapore, di un colore. “Cucinare per me è come respirare: se non cucino, non respiro… e quando cucino esprimo la mia anima. I miei piatti si sono evoluti nel tempo, il cui’respiro’è diventato più consapevole, più attento anche alle tematiche nutrizionali e funzionali al benessere, con un grande rispetto delle stagionalità. MI piace abbracciare un concetto olistico in cui il cibo dev’essere nutrimento e balsamo per l’anima».

Il “successo” sembra comunque non avergli dato alla testa: «Dobbiamo tenere a mente che siamo cuochi, non siamo fenomeni – conclude chef Forapani – siamo persone che lavorano anche se lo facciamo sulle emozioni. Credo che noi chef abbiamo anche un importante ruolo di mentori nel trasmettere, educare e formare i giovani che si affacciano al nostro settore: è un impegno etico e valoriale verso la società e il suo futuro».