Modena. La storia di Francesca: «Aggredita e umiliata, ma non ho paura»
Il racconto in prima persona della psicologa
Mi sono lavata i capelli, profumano di cocco, mi sono fatta bella, mi sono guardata allo specchio e mi sono detta “Francesca, non devi avere paura”.
Ho acceso il computer e in una manciata di battute, 3200 per l’esattezza, ho deciso di scrivere. Scrivo un pezzo di me, piegato, massacrato, violentato, ma non spezzato. Perché le donne non sono facili da spezzare.
“Sei stata solo una fetta di carne” mi ha scritto in un messaggio e mi ha urlato che sono una “puttana”, una “madre di merda”, che non so nemmeno stirare e cucinare. “Puttana”.
Interessante notare che non esista un termine radicalmente e universalmente offensivo che gli corrisponda al maschile. Un uomo che va con tutte è, tuttalpiù, un “gigolo” e non mi pare sia un’offesa.
Non so stirare, né cucinare. D’altronde nemmeno lui sa stirare, anzi, gli stira i panni ancora la mamma. Ma ovviamente dimenticavo che una donna deve saper stirare e cucinare, un uomo no. Un uomo, se cucina, è uno chef. Se stira, è quasi in odore di santità: “come è bravo”, ti diranno le amiche…
Non sono mai stata una femminista e le differenze ci sono, un motivo ci sarà. Una donna partorisce, un uomo no. Una donna allatta, un uomo no e via dicendo. Ma l’amore dovrebbe essere uguale, uno per tutti e il rispetto anche. E vorrei essere rispettata non in quanto donna, ma in quanto persona.
Vorrei non essere aggredita, impaurita o umiliata, semplicemente perché non si fa, perché è scorretto, perché allora vuol dire che nessuno ti ha educato ai sentimenti.
Mi sono chiesta come può l’amore trasformarsi in odio, in violenza, in brutalità. Se ho amato, anche solo un giorno, anche solo una notte, non posso offendere, svilire, umiliare.
Un giorno mi ha lasciato un post it sul comodino attaccato ad una mia foto in bianco e nero “ti amerò per sempre”.
Io non credo alle promesse, hanno una patina di ottimismo che non mi appartiene, però mi era scesa una lacrima. È bella l’idea di essere amati. Visti, ascoltati, accettati.
Come ho fatto a passare tanto velocemente dall’essere la donna della sua vita alla “puttana” di tutti? Il dolore, la rabbia e ho cercato mille giustificazioni. Ma la verità è che la violenza non si può giustificare.
La verità è che esistono la cattiveria e l’incapacità di sentire ciò che prova l’altro, l’incapacità di trovare quel confine tra se stessi e l’altro che non può e non deve essere valicato. Le parole hanno un peso, un significato, scavano solchi profondi di dolore e stanchezza. Non mi interessano nemmeno le scuse, mi interessa solo andare a testa alta e ricominciare, perché la dignità non è un oggetto che può essere sottratto.
Perché non sono una “fetta di carne”, quella la puoi trovare in macelleria.
Non sono una “puttana” perché decido di piacere a me stessa e agli altri.
Non sono una “madre di merda” perché lui voleva venire prima, prima di tutto, prima anche dei miei figli.
Ed è vero: non so stirare, ma non mi importa. E non mi piace cucinare, le padelle mi innervosiscono, ma cucino per amore, per i miei figli, per un ospite gradito. Ma soprattutto so vedere chi mi sta di fronte e a mio modo, un modo tutto mio, so esserci. Ma questo non lo posso spiegare, questo può solo essere sentito, percepito, intuito da chi mi sta accanto. E allora coraggio, Francesca, non avere paura.