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La manifestazione

Modena. «Diamo voce a chi non ce l’ha»: slogan e canti contro la violenza sulle donne

Ginevramaria Bianchi
Modena. «Diamo voce  a chi non ce l’ha»: slogan e canti contro la violenza sulle donne

Tremila persone in corteo da piazzale Sant’Agostino a piazza Roma

27 novembre 2023
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Modena Volevano dare voce a chi non l’ha avuta, volevano fare rumore per farsi sentire. Ed effettivamente, non c’è stato un secondo di silenzio. Chiavi, tamburelli, fischietti. Domenica pomeriggio tremila persone si sono radunate in centro per manifestare la propria indignazione nei confronti della violenza sulle donne: «E’ una lotta da scegliere ogni giorno, portandosela nel cuore. Non ci serve gente sconvolta solamente alla vigilia del 25 di novembre, oppure alla luce di fatti di cronaca visti al telegiornale. Capisco che quest’anno le dinamiche si siano amplificate, soprattutto a causa dell’inaccettabile uccisione di Giulia Cecchettin. Siamo qui per Giulia, siamo qui per tutte, perché bisogna ricordare che non è stata la prima vittima e non sarà l’ultima. Questa volta non staremo zitte, e nemmeno le prossime», sottolinea una ragazza nel bel mezzo del corteo, proprio poco prima che questo inizi.

La rabbia è concreta, palpabile. Una condizione emotiva che, incanalata positivamente, non può far altro che generare cambiamento, colpendo forte: un affronto al patriarcato. Il corteo parte da largo Sant’Agostino, poi sfila per la via Emilia. Una marea di voci femminili, accompagnate dalla presenza di tanti uomini. All’appello diverse associazioni, il movimento politico apartitico “Non una di meno” ed il prefetto. “Avete più paura del femminismo che del femminicidio”, c’è scritto sul cartellone di un ragazzo.

«Voglio essere libera, non coraggiosa», dice il cartellone della sua amica accanto. Insieme, chiedono una reazione concreta nei confronti della cultura dello stupro, ossia quell’insieme di comportamenti che sono volti a limitare la vita della donna, come controllare un telefono, l'eccessiva possessività, il catcalling. Azioni quotidiane a cui non tutti sono ostili, perché sembrano banalità, ma non sono altro che il preludio del femminicidio.

«E’ un problema sistemico, sociale, politico. Bisogna invertire la rotta di pensiero, adesso», spiega una donna mostrando uno striscione con su scritto “è Stato il patriarcato”.

La scia di persone percorre via Farini, approdando in piazza Roma. Il frastuono dei fischietti è incessante, mentre i cori vengono ripetuti senza sosta. «Noi siamo il grido altissimo e feroce di tutte quelle donne che non hanno più voce», o ancora «per Giulia non basta silenzio e lutto. Grideremo forte e bruceremo tutto». Proprio sotto all’Accademia si forma un cerchio, che copre quasi tutta la piazza. Testimonianza dopo testimonianza, mettono sotto ai riflettori tutti i femminicidi commessi dall’inizio del 2023. Sono 105. Da Teresa Spanò, assassinata il 2 gennaio, al volto delle rivolte degli ultimi giorni, Giulia Cecchettin, brutalmente uccisa il 18 novembre. «Il femminicidio non è un delitto passionale, è un delitto di potere. Ma soprattutto, è un omicidio di Stato, perché lo Stato non ci tutela e non ci protegge», leggono ad alta voce, citando le parole laceranti di Elena Cecchettin, sorella di Giulia. E poi, per concludere, una canzone in sottofondo. È “Canciòn sin miedo”, un inno potente creato da un gruppo di donne sud americane. Sulle note di un testo che dice “urliamo senza paura, perché ci vogliamo vedere vive”, il cerchio si stringe, le mani si uniscono e le voci cantano. È la soddisfazione di una mentalità collettiva che prova concretamente a schierarsi dalla parte delle donne. Di una mentalità che è riuscita a farsi ascoltare, che si è mostrata presente e lucida davanti all’attenzione mediatica, piuttosto che rimanendo all’oscuro dei riflettori, anche se ciò ha comportato interesse, tanto quanto dissenso. La questione finalmente si è aperta. E no, non ci dispiace.