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Il caso

Guiglia, una 24enne vittima di razzismo: «Non affitto casa agli africani»

Alice Benatti
Guiglia, una 24enne vittima di razzismo: «Non affitto casa agli africani»

Il racconto di Mouna Bour che sta cercando un’abitazione

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Guiglia «Non affitto il mio appartamento agli africani». Non è il Veneto di Zaia, siamo a Reggio, roccaforte rossa dove un abitante su 5 è di origine straniera e nella quale trovano casa quasi 150 diverse nazionalità. Eppure sono state queste le parole indirizzate appena due giorni fa a una ragazza di 24 anni, figlia di immigrati marocchini ma cittadina italiana, che da tre mesi sta cercando casa a Reggio Emilia per avvicinarsi allo studio di architettura e allestimenti a Cadelbosco dove lavora.

IL RIFIUTO

Lei si chiama Mouna Bour, modenese di Guiglia, dove è nata e cresciuta, e venerdì sul suo profilo Instagram ha condiviso il messaggio ricevuto dalla proprietaria di un appartamento in centro storico a Reggio a cui aveva scritto per verificare se fosse ancora libero e ottenere ulteriori dettagli riguardo alle condizioni di affitto. Dopo la comunicazione dell’indirizzo e le informazioni sul deposito cauzionale, ecco le sue richieste: «Non affitto il mio appartamento agli africani, esigo che l’appartamento sia pulito e soprattutto il pagamento regolare dell’affitto».

La mail a cui la 24enne aveva scritto era stata pubblicata, a corredo di alcune fotografie dell’appartamento, su una nota pagina Facebook di vendita e affitti di case. Già ieri, però, il post non era più visibile: qualcuno forse lo ha segnalato e fatto cancellare dopo avere ricevuto la stessa risposta? Che la motivazione sia questa o che si sia trattato di una truffa (niente è da escludere, considerando che sui social chiunque può pubblicare liberamente) non è ancora noto ma quella frase ha comunque saputo colpire.

IL COMMENTO

«Le battute e i commenti me li faccio scivolare addosso ma questa cosa mi ha fatto riflettere – commenta la designer di interni –. Sono nata e cresciuta a Modena, amo l’Italia, ma in momenti come questi mi dico: “A cosa appartengo?”. Vorrei sentirmi a casa perché questa è casa mia, non abituarmi a sentirmi discriminata. Faccio parte di una seconda generazione ma ci saranno terze, quarte e quinte generazioni: questa è la realtà».

E prosegue: «Ho tanti colleghi di origine straniera e tutti mi hanno detto che hanno faticato a trovare casa. Io sono tre mesi che cerco casa per provare ad avvicinarmi allo studio di architettura dove lavoro, che da Guiglia dista 100 chilometri. Sto guardando ovunque, a Reggio Emilia ma anche in provincia: Cadelbosco, Sesso, Rubiera, Massenzatico, Bagno, Bagnolo in Piano. E non ho ancora trovato niente, anche se ho un contratto a tempo indeterminato».

Al telefono la 24enne ci racconta che al suo messaggio di denuncia hanno risposto diverse persone che hanno raccontato situazioni simili. «Anche le persone del sud hanno difficoltà a trovare casa» riporta.

«Un mio collega albanese ha vissuto per un anno in albergo perché nessuno a Reggio Emilia ha voluto affittargli casa mentre una mia amica di Milano si è sentita dire più volte “io non affitto agli stranieri”». E ancora: «Per me tutto questo è sconvolgente». Tra l’altro, «tutta la mia famiglia ha la cittadinanza italiana, i miei genitori sono venuti qui insieme quando avevano 20 anni».

«Generalizzazioni come, ad esempio, quella che i marocchini spacciano mi danno molto fastidio – aggiunge – perché certo ci può essere il marocchino spacciatore ma come c’è l’italiano spacciatore. O il marocchino sporco come l’italiano sporco, tornando in tema di casa. La nazionalità non racconta una persona».

LA REPLICA

Informato dell’accaduto, l’assessore alla Casa del Comune di Reggio, Lanfranco de Franco, si è detto dispiaciuto, confermando però che simili discriminazioni sono diffuse sul territorio sebbene «così palesi è la prima volta». «Di solito avvengono con modalità più sottili – riporta –, ad esempio mentendo sul fatto che l’appartamento da affittare non sia più disponibile appena emerge il cognome straniero dell’aspirante affittuario. Parliamo di una pratica discriminatoria, che non ha alcuna scusante, difficilmente aggredibile».

«Il problema – sottolinea – è che mette in difficoltà il territorio. Ci sono giovani di seconda generazione che faticano a diventare autonomi perché tramite i privati non trovano le case e non possono nemmeno accedere a quelle popolari, perché hanno redditi troppo alti. La conseguenza è che poi emigrano in altri Paesi europei dove riescono a realizzare il progetto di vita che qui non sono riusciti a costruire. Per noi, in prospettiva, è un danno a livello di tenuta: non possiamo permettercelo, sia sotto il punto di vista etico che economico».