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Sessismo all'Accademia di Modena, la soldatessa incalza l’ufficiale: «Inviava ad altri foto del mio sedere»

Sessismo all'Accademia di Modena, la soldatessa incalza l’ufficiale: «Inviava ad altri foto del mio sedere»

Il caso Cati alle Iene: due soldatesse raccontano molestie e sessismo

01 febbraio 2024
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MODENA. Ha parlato ai microfoni de “Le Iene”, martedì sera su Italia 1, la soldatessa definita “supertestimone” del caso di Giampaolo Cati, il tenente colonnello che era a capo del Centro ippico militare dell’Accademia. Come noto, è indagato per molestie, violenza privata e abuso di autorità per fatti soprattutto dal 2019 al 2021.

LA TESTIMONIANZA


A Roberta Rei, la ragazza, pur mantenendo l’anonimato, ha rivelato di essere quella a cui l’ufficiale rivolse la frase: “Come scopi bene con quella scopa”, con chiare allusioni sessuali. «Una volta – ha raccontato – mentre spazzavo, lui arriva e davanti a tutti dice: “Guarda come scopa bene, è una brava scopatrice!”. Sono abbastanza grande per capire il doppio senso. Un’altra volta ha detto: “Guarda lì!”, riferendosi al mio sedere. Io non potevo rispondere, nell’esercito non puoi rispondere a un superiore. Un giorno l’ho beccato col telefono puntato sul mio sedere, ma lui ha negato di aver fatto una foto. Ma dopo, una mia collega mi ha detto: “Guarda che la foto del tuo sedere l’ha mandata a un collega in una chat”». E ancora su Cati: «Mi faceva vedere le foto di donne in intimo col seno di fuori e mi diceva: “Questa non vede l’ora di trombarmi”. Era fissato a farci pulire i genitali dei cavalli, era una delle classiche punizioni».

E questo l’ha confermato un ufficiale ancora in servizio in Accademia: «Alle ragazze diceva: “Vai a pulire il c...o al cavallo”. E se loro rispondevano “l’abbiamo appena fatto”, lui diceva: “Pulisci il c...o, è un ordine!”. Attenzione, quella pulizia va fatta, ma una volta al giorno. Non dieci. Ma c’è una gerarchia: chi è sotto non può rispondere, sennò viene ammonito o espulso».

L’ALTRA TESTIMONE


Un’altra ragazza ha confermato le accuse, sottolineando: «Io sono stata quattro volte in Afghanistan, una in Iraq, e ho fatto la Bosnia: non è che non reggo la pressione. Ma un conto è la disciplina, anche dura, dell’ambiente militare, ma con delle regole. Un conto è andare oltre: a quel punto è mobbing».

L’ufficiale accusatore (ancora in servizio in Accademia) ha poi avuto parole durissime nei confronti di Cati: «Non ho mai trovato una persona che non meriti di vestire l’uniforme come lui». E ha rimarcato l’attendibilità della accuse, alla luce del loro essere diffuse e provenienti da persone in gran parte tra loro estranee. Quindi con esperienze diverse e indipendenti: «Sono passati molti anni – evidenzia – molte persone manco si conoscono, ma dicono le stesse cose». Un punto questo su cui fa leva anche l’avvocato Massimiliano Strampelli di Roma, che assiste ben otto (cinque uomini e tre donne) degli undici militari che hanno presentato denuncia: «Sono segnalazioni credibili – osserva – perché a un riscontro incrociato mancava all’epoca la conoscenza personale».

GLI ESPOSTI PARTITI DALL’ACCADEMIA

Le soldatesse intervistate dicono di aver parlato di questi comportamenti con i superiori, e che i vertici dell’Accademia dell’epoca sapevano. Va ricordato che è stato il comandante attuale dell’Accademia, il generale Davide Scalabrin, a presentare gli esposti alla Procura militare e a quella civile, che hanno fatto scattare le indagini. Alle Iene un ufficiale definito di pari grado con Cati ha dichiarato di essere stato testimone dei suoi atteggiamenti: «A una persona importante del comando dell’Accademia al telefono ha detto: “Ti sto mandando la più bella dell’Accademia, cosi tu le guardi un po’ le tette e il culo, e mi firmi i documenti”».

D.M.

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