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Modena, la testimonianza di un infermiere del reparto Diagnosi e cura di Baggiovara: «Tra aggressioni e incendi appiccati, qui è pericoloso»

di Davide Berti
Modena, la testimonianza di un infermiere del reparto Diagnosi e cura di Baggiovara: «Tra aggressioni e incendi appiccati, qui è pericoloso»

Dopo la violenza di sabato, la confessione: «La polizia arriva anche tre volte al giorno, non c’è vigilanza di notte, l’Ausl investa»

20 febbraio 2024
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MODENA «La situazione è esplosiva. Abbiamo troppe persone concentrate in unico posto, pazienti violenti che vengono dal carcere, accogliamo spesso più minori non accompagnati di quelli che potremmo tenere e questo servizio è diventato un parcheggio. Anche per soggetti intossicati da sostanze, scaricati qui in barba alle disposizioni regionali. Quello che avete letto negli ultimi giorni non è un racconto esotico, un fatto raro. Qui è la norma».
Lo chiameremo Mario, nome assolutamente di fantasia, per proteggerlo dal rischio di provvedimenti disciplinari da parte di azienda Usl. Mario è un infermiere del Servizio Psichiatrico diagnosi e cura che opera all’ospedale di Baggiovara e ha accettato di parlare con la Gazzetta di Modena perché «non sono un giustiziere ma solo una persona che crede in questo servizio e nella sua missione. E per questo vedo tutti i limiti di una formula che non solo non funziona ma è una bomba a mano».

Cos’è accaduto il 17 febbraio?

«È stato solo l’ultimo di una lunga serie di violenze che si sono scatenate nel Servizio. Il paziente stava dando in escandescenza, sono intervenuti i carabinieri e gli è stata somministrata una terapia. Che non ha funzionato: subito dopo l’uomo ha fatto esplodere tutta la violenza di questo mondo con i risultati che conoscete. Sono occorsi nove agenti per portarlo a fare i controlli, abbiamo evacuato gli altri 18 pazienti in ambulatorio, sistemandoli su dei materassini piazzati a terra. Sembrava una di quelle scene che si vedono nei terremoti. Ora l’uomo è sedato in una struttura ospedaliera ma poi dove andrà? Probabilmente ritornerà da noi».

Cosa accade nel reparto diagnosi e cura di Baggiovara?

«Abbiamo troppi casi che insieme diventano una miscela pericolosa: paradossalmente i pazienti psichiatrici, che sono i destinatari del nostro lavoro e delle nostre competenze, sono pochi, mentre siamo pieni di tossicodipendenti, minori non accompagnati, detenuti. Non voglio dare etichette, faccio questo lavoro con passione e sono sempre al servizio di tutti, voglio solo che si capisca la complessità dei casi che ci si presentano davanti, tutti con storie personali complesse. Noi siamo seduti su una mina. Dovremmo avere 15 posti per gli adulti e due per i minori, questi ultimi organizzati in una sezione a parte. Spesso siamo in overbooking con 18-19 pazienti in gran parte extracomunitari e detenuti. I minori sono anche tre o quattro. Ragazzini affidati alle cooperative e, quando scappano da lì, vengono sistemati da noi, perché dopo il nostro servizio non c’è più nulla».

La presenza di detenuti è compatibile col vostro reparto? Quanti sono?

«In reparto c’è un numero rilevante di detenuti. Parliamo di persone che spesso vengono dal carcere e sono piantonate. Nell’ultima settimana abbiamo ricevuto tre casi di questo tipo. Ecco, quando un detenuto va in escandescenze c’è poco da fare. La polizia penitenziaria ovviamente teme denunce».

Lavorate a tu per tu con la violenza. Come si sente?

«Abbiamo avuto due incendi pericolosi scatenati in reparto da pazienti che hanno dato fuoco ai letti. Circa tre anni fa un collega è stato sequestrato. Una infermiera in piena notte è stata immobilizzata da un paziente che le ha puntato una penna alla schiena, minacciando di usarla come un coltello. Ad oggi abbiamo cinque colleghi a casa perché infortunati. Ancora: una oss, nostra collega, ha rimediato la frattura del setto nasale. Mi creda che l’elenco di queste storie sarebbe lungo, troppo lungo».

Come funziona il sistema di sicurezza? Ammesso che ne esista uno.

«Per verificarlo potete chiedere ad un qualsiasi ispettore della polizia locale. Ultimamente intervengono in reparto dalle due alle tre volte al giorno. Ha capito? Non al mese. Al giorno. La vigilanza privata è schierata dalle 8 del mattino alle 8 di sera e di notte siamo soli. Fanno un lavoro eccezionale, al pari degli agenti del Comune, ma qui serve un posto di polizia fisso. Gli agenti intervengono il più rapidamente possibile ma tra l’esplosione di una violenza e il tempo di arrivo di una pattuglia perdiamo del tempo che può essere prezioso. E in prima linea restiamo noi sanitari».

Ausl come si comporta con voi? È informata di quanto succede?

«Non posso dire che l’Azienda non sia attenta, ad esempio col supporto psicologico al personale. Il problema è che le cose non cambiano e si ripetono. Dopo ogni incidente facciamo gli incident reporting, ma finché non succede qualcosa nessuno si fa carico dei problemi. Rimane tutto in famiglia, per così dire. E così hai voglia a fare degli audit. È giunto il tempo che Ausl investa sulla psichiatria in maniera adeguata, sedendosi al tavolo».

Il quadro che descrive è drammatico. Parliamo delle soluzioni possibili. Quando lei chiede maggiori investimenti intende più personale in servizio?

«Guardi. Mettiamo in fila le cose. Abbiamo un grave problema di sicurezza e qui ci occorre, lo ripeto, un posto di polizia permanente. Secondo: il Servizio non è più un servizio per la cura dei pazienti psichiatrici. Dentro arriva di tutto e siamo ridotti ad un parcheggio. Glielo spiego con un altro esempio: sono tanti i tossicodipendenti spediti da noi in reparto. C’è una direttiva regionale che stabilisce l’invio di queste persone in medicina d’urgenza ma niente da fare, ce li sbattono in Diagnosi e Cura. Terzo problema, enorme: dall’Abetone a Finale Emilia esiste un solo Servizio psichiatrico diagnosi e cura: il nostro, a Baggiovara. Il risultato è che tutti i casi vengono stipati nello stesso posto, creando una concentrazione di elementi pericolosi che può portare alla tragedia in qualsiasi momento. Dieci anni fa esistevano tre Servizi diagnosi e cura in tutta la provincia di Modena, oggi ci siamo solo noi a fare da argine ad una marea montante e in condizioni operative estreme: la contenzione è stata abolita, nessuno la vuole fare. I medici, se la terapia assegnata non funziona, hanno paura ad agire perché potrebbero incappare in pesanti risvolti giudiziari. E giù giù fino alla fine della filiera, dove ci siamo noi infermieri che dovremmo fare il nostro lavoro per assistere i malati e non le guardie del corpo. Però, ora faccio io a lei una domanda…».

Dica pure.

«In queste condizioni operative, se un paziente avesse una crisi pantoclastica (una reazione estrema negli stati di eccitamento maniacali o schizofrenici, come reazione isterica oppure indotta da sostanze, ndr) non lo potrebbero affrontare nemmeno dieci di noi. Pensa che questa intervista ci aiuterà a cambiare le cose? Io lo spero».