Gazzetta di Modena

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Il caso in tribunale

Modena, i residenti della palazzina di via Divisione Acqui: «Abbiamo perso tutto»

di Luca Gardinale
Modena, i residenti della palazzina di via Divisione Acqui: «Abbiamo perso tutto»<br type="_moz" />

Alla vigilia dell’ultima udienza del processo «Le nostre vite sono state distrutte, ora vogliamo giustizia»

26 febbraio 2024
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MODENA Mentre parlano, si fermano un attimo e si guardano negli occhi. Poi scappa un sorriso, uno di quelli che dicono “ma sì, in fondo ce l’abbiamo fatta”. Perché in realtà non era per niente scontato riuscire a superare uno scoglio del genere. E poi parlano del loro rapporto, trovando un aspetto positivo in questa bruttissima vicenda: «Magari tra noi litighiamo, ci arrabbiamo, ma poi passa tutto. E sì, di certo questa storia ci ha uniti, rafforzando il nostro rapporto».

LA STORIA

Loro sono i 18 residenti - gli appartamenti sono 20, ma al momento due sono vuoti - della palazzina di via Divisione Acqui 120, che in teoria avrebbe dovuto essere il primo esperimento cittadino di cohousing, una modalità innovativa dell’abitare, valorizzando una serie di attività comuni, ma in realtà si è trasformata in un incubo dal 2018, quando il cantiere si è bloccato a causa di una gestione poco chiara da parte della società Cooperativa Edificatrice Modena Casa. Un lungo stop che ha reso tristemente noto il cantiere di via Divisione Acqui, con continui allagamenti (le cui conseguenze sono visibili ancora oggi) e una situazione di insicurezza generale, tanto che l’area fu occupata da senzatetto e ci fu anche una violenza sessuale. Una situazione che nel 2019 portò il Comune a modificare la convenzione, in modo che i promissari acquirenti, che avevano già pagato buona parte del costo degli alloggi (fino all'80%), potessero completare l’acquisto “al grezzo” e portare a termine i lavori. E ora quelle persone ci vivono effettivamente, nelle loro case, dalla primavera del 2022. Difficile, però, parlare di “incubo finito”: c’è chi ci ha perso la salute, chi ha dovuto accendere un mutuo, chi ha dovuto rinnovare l’affitto.

RABBIA E DISPERAZIONE

«Io in questa vicenda ci ho rimesso tutti i miei risparmi - racconta uno degli inquilini - complessivamente circa 180mila euro, di cui 60mila tirati fuori in un solo giorno, per ripagare la Banca etica, per sollevare la casa dall’ipoteca, per il Consorzio stabile Rmt, l’impresa a cui la coop aveva affidato la costruzione dell’edificio, per la cooperativa stessa e per le spese di notai e avvocati. Una cifra a cui si è poi sommata quella per portare a termine il cantiere, perché a noi sono state vendute case che in teoria avevano uno stato di completamento all’80%, ma in realtà tutte le ditte che abbiamo sentito per portare a termine i lavori concordavano su fatto che al massimo fossimo al 60%. Di conseguenza, abbiamo dovuto sborsare altre decine di migliaia di euro per chiudere i lavori. E poi ci sono avvocati, notai, nel mio caso nuovi mutui, e in altri casi anni di affitti: io in questa vicenda ho perso 180mila euro, i risparmi di una vita».

SENZA FINE

Ma i numeri non esauriscono la questione, perché è il lato umano della vicenda quello più drammatico: «Ovviamente - incalza il residente - oltre ai soldi persi c’è tutto quello che abbiamo sofferto, la preoccupazione quotidiana e la paura di non farcela, io ogni giorno avevo mio figlio che mi chiedeva “papà, quando andiamo a vivere nella casa del parco?”, e non sapevo cosa rispondergli. E poi c’è la salute: io soffro del morbo di Crohn, e la mia situazione si è aggravata con quella sofferenza». Situazioni che i residenti fanno fatica a raccontare, anche se oggi c’è la consapevolezza di aver superato i momenti più drammatici: «Noi abbiamo fortemente creduto in questo progetto - racconta un altro residente - anche perché il Comune di Modena ci ha investito molto, organizzando addirittura una conferenza stampa per presentare quella che sarebbe stata la prima esperienza di cohousing in città. Ecco, di questa esperienza oggi c’è davvero poco - aggiunge sconsolato, guardandosi attorno - perché le attività comuni non sono mai partite, mentre noi alla fine ci siamo trovati a comprare questi appartamenti per 2100 euro al metro quadrato, che non è esattamente un prezzo da edilizia convenzionata». «Numeri a parte, noi siamo esseri umani - aggiunge un altro residente - e ancora oggi non dormiamo la notte per quello che abbiamo passato. Per questo chiediamo prima di tutto una cosa: giustizia».

IL PROCESSO

La denuncia dei residenti (oltre a quella del Comune) ha infatti portato al rinvio a giudizio dell’ex presidente della cooperativa, Davide Casari, e mercoledì prossimo è prevista l’ultima udienza del processo penale, che ha visto Comune e Regione - interessata perché il progetto prevedeva l’erogazione di 30mila euro da Bologna per le giovani coppie che hanno investito in questi alloggi - costituirsi parte civile. Al momento del rinvio a giudizio, il Comune aveva fatto sapere che «l’accaduto ha pregiudicato un progetto di rilevante interesse pubblico promosso dall’ente su aree pubbliche, compromettendone gli obiettivi».