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Il caso

Castelfranco, botte per il matrimonio combinato: testimonia la preside che la salvò

Castelfranco, botte per il matrimonio combinato: testimonia la preside che la salvò

La 19enne picchiata e minacciata per mesi dai famigliari

07 marzo 2024
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Castelfranco Adesso sta bene e ha sposato il ragazzo che ama. L’incubo per lei, una 19enne indiana residente a Castelfranco, può dirsi in parte concluso dopo le botte, le minacce e l’orrore vissuto in casa a causa dei genitori, della nonna e dello zio che volevano per lei nozze combinate nel paese d’origine e non accettavano invece che lei volesse stare insieme a un altro ragazzo, suo connazionale.

Il processo è iniziato in tribunale a Modena e il prossimo 2 aprile come testimone sarà anche ascoltata la preside che proprio un anno fa, era sempre il mese di aprile, aveva ospitato la ragazza. Lo aveva fatto per aiutarla in quella situazione difficile che ogni giorno doveva affrontare. Dopo essere stata protetta dalla docente, la 19enne era poi entrata nel percorso di protezione organizzato dalla Questura di Bologna. Non a caso nei confronti dei familiari è stato disposto il divieto di avvicinamento. Anche se, nelle prime fasi, pure dopo l’applicazione della misura, i quattro avevano provato a mettersi in contatto con la giovane.

«Una l’abbiamo salvata», così commentava, all’alba della vicenda, l’avvocato di Bologna, Barbara Iannuccelli che ha accompagnato la giovane in questo percorso (e che nel noto caso Saman assiste il fidanzato della vittima come parte civile). Quella che si è verificata a Castelfranco è una storia con un finale diverso. La prima segnalazione era partita proprio dalla scuola, che si era messa in contatto con un centro antiviolenza.

Per la prima notte non era stata trovata una struttura protetta per la giovane: ad ospitarla era stata come raccontato la preside della sua scuola che ora sarà chiamata a testimoniare in aula. Le accuse nei confronti dei parenti, pesanti. La picchiavano, la segregavano ed è probabile che almeno in un’occasione l’abbiano sedata. Avevano anche preparato tutti i suoi vestiti come se, da un momento all’altro, avessero dovuto spedirla da qualche parte. L’incubo della 19enne andava avanti da mesi, ma fortunatamente la procedura stavolta si è attivata in tempo. Tutto era iniziato quando il padre aveva scoperto che si era innamorata di un altro: l’aveva presa a calci. E poi, la minaccia che fa rabbrividire: quella di tagliarle la gola.

«Dissi quella frase "una l’abbiamo salvata" – erano state le dichiarazioni l’avvocato Iannuccelli alla Gazzetta – in parallelismo con la storia di Saman. La storia di Saman è caratterizzata da una burocrazia incredibile che si avvolge su se stessa e si incarta. A Saman fu fatta fare la denuncia dello smarrimento non del suo permesso di soggiorno, ma del permesso di soggiorno previsto per lei ancorato a quello del padre, e scaduto a novembre del 2020. Una denuncia che non serviva a nulla, mentre Saman avrebbe avuto diritto secondo l’articolo 18 bis del testo unico sull’immigrazione, a un permesso di soggiorno suo, proprio perché aveva denunciato la violenza domestica. Una l’abbiamo salvata perché c’è voluto l’intervento fisico, perché quella volta per questa ragazza indiana alla fine di quella giornata in cui aveva stabilito il suo punto zero di inizio di una nuova vita, l’unica offerta era quella di un B&B dove poter andare al massimo con me: questa era tutta la protezione che lo Stato in quel momento offriva a questa ragazza. Quindi – concludeva – una l’abbiamo salvata, l’altra purtroppo anche la burocrazia l’ha uccisa».