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L’appuntamento

«Nessuno può dire che non lo riguarda, così ognuno ha tirato fuori paure e creatività»

Francesca Scalise
«Nessuno può dire che non lo riguarda, così ognuno ha tirato fuori paure e creatività»

Il progetto presentato da Francesca Scalise, la psicologa che ha guidato il gruppo

12 marzo 2024
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]Di spettacoli a teatro ne ho visti tanti, soprattutto da ragazzina quando ci andavo con mia madre.

Il teatro ha il sapore antico delle cose belle, vere, genuine, lente, profonde.

Il teatro è un palco e le emozioni che arrivano dritte a chi guarda.

Quando mi è stata proposta l’avventura di “Invivavoce” non potevo immaginare la potenza di ciò che si sarebbe creato da lì a poche settimane.

Un team di lavoro che dal nulla, ma proprio dal nulla, mette insieme pensieri, idee e queste prendono voce, corpo, diventano parole, musica, danza, voci.

Tutte queste voci devono riuscire a nominare nel modo più vero e reale possibile un argomento difficile, faticoso, urgente quale la violenza di genere.

Violenza che parte da un vissuto sommerso che ci riguarda tutti, maschi e femmine indistintamente, e che si chiama cultura: stereotipi in cui tutti, ma proprio tutti, ci riconosciamo e a cui ci abbandoniamo, pensando ormai che siano normali e inevitabili quelle differenze tra uomini e donne che da sempre ci vengono raccontate.

Per settimane si sono succedute riunioni della “cabina di regia” di questo spettacolo teatrale ed è stato come scavare, o inabissarsi in acque profonde, perché riuscire a scovare il sommerso, dargli una forma, dargli una voce, portarlo alla luce è stato un lavoro paziente, delicato, minuzioso. Riuscire a trovare le parole, nominare qualcosa, vuol dire trovarsi improvvisamente di fronte a ciò che è: non puoi più far finta che non esista, perché ora quel qualcosa ha un nome, è presente, è reale. Credo che il primo grande passo per arrivare a tessere l’impalcatura di questo spettacolo, sia stato proprio capire cosa volessimo portare in scena: il senso, il significato della violenza di genere.

Il secondo passo è stato portare a galla un pensiero scomodo: tutti e tutte possiamo essere vittime e carnefici, nessuno può orgogliosamente dire “a me non potrebbe accadere”.

Questo enorme senso di coralità, questo riconoscerci tutti e tutte vittime di stereotipi e al contempo sostenitori, anche solo con il nostro silenzio, di quella cultura sommersa che porta alla discriminazione prima e alla violenza poi, ci ha regalato il grande senso di umanità e affiatamento necessario ad un team per poter collaborare, condividere, emozionarsi, sostenersi. Successivamente ha preso forma l’enorme lavoro per individuare danze, musiche, storie, testimonianze e quindi corpi, voci che potessero portare sul palco la rappresentazione di ciò che è sotto traccia e che, per essere portato a galla e per poter essere lentamente, ma inesorabilmente modificato, ha bisogno di una nuova cultura, di un nuovo modo di pensare, di nuove voci che possano raccontare e creare altro rispetto a ciò che oggi esiste.

Altro. Altro come l’altro che abbiamo di fronte a noi ogni giorno, altro come l’altro che è in ognuno di noi, la nostra parte diversa, unica che a stento riusciamo a riconoscere, a nominare.

Ecco, “Invivavoce” forse è altro. Altro da noi stessi: le nostre paure, le nostre fragilità, i nostri stereotipi, le nostre mostruosità, ma anche i nostri desideri, voci consapevoli, nuove, forti, possibili.

Aver fatto parte di questo team di lavoro mi ha permesso non solo e non tanto di dare il mio contributo come psicologa, ma mi ha permesso soprattutto di dar voce a quell’altra parte di me che spesso rimane più nascosta: le mie paure, la mia creatività, i miei desideri, le mie possibilità.