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Invivavoce: in 2500 contro la violenza di genere. L’arte dello Storchi come megafono

Gabriele Canovi
Invivavoce: in 2500 contro la violenza di genere. L’arte dello Storchi come megafono

Modena, martedì sera teatro tutto esaurito per le tre rappresentazioni

13 marzo 2024
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Invivavoce è una ragazza che non ha voce. Invivavoce una ragazza che pubblica una storia su Instagram, esasperata da quello che accade a lei e alle sue coetanee. Invivavoce è una ragazza che critica e ti dice: possibile che ne parliate solo quando c'è un femminicidio? Invivavoce è un gruppo di giovani che abbiamo il dovere di ascoltare. Invivavoce è un progetto collettivo che unisce mondi, sensibilità, generazioni. Invivavoce è l'esigenza di dare un nome alle cose. Invivavoce è una riflessione per contrastare l'indifferenza.

Invivavoce è la coscienza di ognuno di noi che non può fare finta di nulla. Invivavoce è non chiamarsi fuori. Invivavoce è una ragazza che, ieri sera, in un luogo sicuro, ha avuto voce. Invivavoce è stato tre repliche, martedì, in un teatro Storchi tutto esaurito. Duemilacinquecento spettatori, di cui oltre 1600 ragazzi e ragazze delle scuole medie e superiori di Modena e provincia, che hanno riempito (tre volte) il teatro portando la loro testimonianza, la loro attenzione. E di attenzione, sul tema della violenza di genere, ce ne vuole, oggi più che mai, perché “tutto fa di noi quello che siamo”, citando la poetessa Mariangela Gualtieri, le cui parole, pronunciate all’unisono da tutti gli attori sul palco, hanno chiuso l’evento. Sì, evento e non spettacolo: non ci è mai piaciuto chiamarlo così.

“Invivavoce - storie sommerse di violenza di genere”, organizzato dalla Gazzetta di Modena in collaborazione con Cisl, Csi e Lapam, è stato capace di mettere insieme giovani, educatori, artisti, psicologi, medici, formatori, associazioni, forze dell’ordine, cantanti e ballerini. Tutti uniti da un unico obiettivo: lasciare che la nostra voce non resti inascoltata. E così è nata la performance della scuola di danza Talentho, le canzoni del duo Opposite, la riproduzione di una telefonata al pronto soccorso fatta da una donna picchiata dal marito e la testimonianza di Claudia Tramice. Tra le tante storie di persone terze che abbiamo deciso di riportare, la sua, quella di Claudia, è una storia di vita vissuta, raccontata in prima persona.

Pensate che tutto è questo è partito da una normale storia pubblicata su Instagram da una studentessa modenese: domandava come mai noi giornalisti parliamo di violenza di genere solo di fronte ai femminicidi. Ecco, c’era la necessità di raccontare tutto quello che rimane sommerso. Ieri sera abbiamo provato a fare questo, a portare alla luce quella parte di iceberg che spesso non si vede o non si ascolta ai telegiornali.

Non ci prendiamo l’onere di dire se ci siamo riusciti o meno, ma ci godiamo i tanti applausi che abbiamo ricevuto, convinti che possano essere un piccolo, ma importante, primo passo verso il cambiamento. L’impegno della Gazzetta non si è concretizzato per caso. Il nostro giornale, dallo scorso novembre, ha presentato un manifesto contro la violenza sulle donne dal titolo "Mai più una Giulia", lanciato dai tre quotidiani emiliani del gruppo Sae, Gazzetta di Modena, Gazzetta di Reggio e La Nuova Ferrara. Oggi le firme sono più di 1.500 e martedì sera sono state consegnate al prefetto di Modena, Alessandra Camporota, al Comune e alla Regione Emilia Romagna. Al manifesto ha aderito anche l’Ausl di Modena: «Ogni giorno anche noi in prima linea», ha detto la direttrice generale Anna Maria Petrini. «Non si vince la battaglia contro la violenza sulle donne se non si combatte il clima culturale in cui prospera – ha dichiarato il direttore dei tre quotidiani Cristiano Meoni – Consapevoli che serva un'azione di lungo periodo e che non basti un fatuo momento di emozione generale, all'indomani dell'uccisione di Giulia Cecchettin per mano del suo ex compagno abbiamo lanciato un Manifesto. Un programma minimo in cui specchiarsi la mattina per capire se davvero stiamo facendo il possibile affinché, come recita il nostro Manifesto, non ci sia più un'altra Giulia. Cinque cose che tutti possiamo fare, a partire dall'adeguamento del linguaggio alle regole del rispetto altrui e dell'amore come gratuità e non come possesso. Già 1500 persone lo hanno firmato sulla piattaforma Change.org., ma non ci fermeremo qui. Le rivoluzioni sono come i quotidiani, un mestiere che conosciamo bene: si fanno tutti i giorni con i piccoli cambiamenti».