Palagano, la montagna rende onore a Minghìn e ai partigiani della Brigata Dragone
Domani alle 10 a Monchio la cerimonia di commemorazione
PALAGANO. Domani alle 10, presso il Centro Servizi del Parco Provinciale della Resistenza di monte Santa Giulia, a Monchio, si terrà una cerimonia per ricordare gli oltre mille uomini della Brigata Dragone e il loro comandante, Domenico Telleri (Minghìn), deceduto a Ferrara il 16 luglio 1987. Le sue ceneri saranno disperse proprio nel luogo che gli diede i natali e nel quale combatté dal 10 ottobre 1943 sino alla fine della guerra.
L’iniziativa, organizzata dalle sezioni Anpi di Montefiorino, Palagano e Prignano-Polinago, rientra tra le attività per celebrare il 25 aprile che «rappresenta non solo il vittorioso coronamento della lotta iniziata l’8 settembre ’43, ma il culmine di una più lunga battaglia cominciata con l’ascesa al potere del fascismo nel 1922». Del resto, lo stesso presidente Mattarella ha voluto ricordare lo scorso anno le parole pronunciate, nel 1955, da Piero Calamandrei: «Se volete andare in pellegrinaggio dove è nata la nostra Costituzione, andate sulle montagne, nelle carceri, nei campi, dovunque è morto un italiano per riscattare la nostra libertà, perché è lì che è nata».
Nessun elemento retorico, ma un concetto ancora profondamente attuale, che ben descrive ciò che accadde nel nostro Appennino dall’8 settembre 1943 al 25 aprile 1945. Con la firma dell’armistizio da parte del generale Badoglio, l’esercito resta abbandonato a se stesso. Emblematico il caso degli allievi dell’Accademia militare, in fase di trasferimento dal campo estivo delle Piane di Mocogno a Modena, i quali si arrestano a Lugo, risalgono verso Montefiorino e Monchio, cercano abiti civili, abbandonano mezzi, armi, vettovagliamento, 300 quadrupedi.
Nelle nostre vallate i primi militari, riusciti faticosamente a rientrare nelle proprie abitazioni, danno vita ai nuclei iniziali della Resistenza. Ben presto a loro si uniscono i giovani renitenti alla leva e l’avanguardia dei partigiani provenienti dalla pianura. Le armi abbandonate il 9 e il 10 settembre, immediatamente recuperate e occultate, costituiscono il «patrimonio militare». Non c’è nulla di eroico in questa prima forma di opposizione, che inizialmente fu un movimento autonomo, istintivo, ispirato in gran parte da ragioni di carattere personale e locale; il substrato ideologico a sostegno della lotta armata si formerà più tardi con l’arrivo di elementi politicamente qualificati delle città.
La Dragone passa dagli iniziali 37 componenti, ai 128 in aprile e ai 671 a settembre, per raggiungere i 1195 a fine conflitto. All’esordio sono di Frassinoro, Lama, Montefiorino, Pavullo, Polinago e Prignano: uomini e donne che conoscevano perfettamente il territorio e perciò in grado di garantire la sicurezza di quanti decidevano di “salire in montagna”. La Dragone è presente nei principali eventi: resiste, nell’area di Monchio-Saltino, unitamente alla Santa Giulia, sino al tardo pomeriggio del primo agosto 1944 al massiccio attacco nazifascista che segnò la fine della Repubblica di Montefiorino, proclamata il 17 giugno. Pochissimi gli uomini di Minghìn che passano il fronte. La quasi totalità dei montanari resta e costituisce un importante nucleo per la ricostruzione del movimento che riuscirà, in pochi mesi, a nuovamente liberare la vasta area conosciuta come la seconda Repubblica. Dall’iniziale grado di sottotenente, Minghìn è promosso tenente, capitano e infine maggiore, nel settembre 1944. Dopo la Liberazione, svolge compiti di controllo al campo di Fossoli e poi entra nel Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza, divenuto, nel 1981, polizia di Stato.
È in servizio a Ferrara durante l’alluvione del Polesine: anche qui si distingue per avere, con tre commilitoni, salvato nottetempo numerose persone bloccate in una scuola. «Esempio di abnegazione e umana solidarietà», evidenzia l’encomio concesso dal Viminale il 5 ottobre 1952.
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