Castelnuovo, «Jaouad ha aggredito per primo. Noi non volevamo ucciderlo»
I due fratelli accusati dell’omicidio del 36enne davanti al gip
«L’aggressione venerdì è iniziata da Jaouad». È quanto hanno riferito ieri mattina al giudice per le indagini preliminari i due fratelli marocchini di 28 e 50 anni finiti in carcere con l’accusa di omicidio volontario del connazionale 36enne Jaouad Dejli, morto dissanguato dopo una coltellata all’inguine.
Assistiti dai loro avvocati – Roberto Ghini e Giulia Testa per il 50enne, Ghini e Giulia Galvani per il 28enne – i due sono comparsi in carcere davanti al gip Barbara Malvasi. Per l’accusa, c’era il pm Paola Campilongo. I due si sono avvalsi della facoltà di non rispondere, ma hanno fatto dichiarazioni spontanee che delineerebbero un quadro più complesso in merito a ciò che è avvenuto. Che si configurerebbe come una reazione, per quanto finita in modo tragico.
L'interrogatorio
I due hanno riferito che è stato Dejli ad arrivare d’impeto venerdì mattina in macchina nel cortile dell’abitazione in cui vivono al 55 di via Casette Zanasi, a Castelnuovo, suonando il clacson e imprecando. Questo, a loro giudizio, senza alcun motivo apparente: non ci sarebbero secondo loro questioni di droga in sospeso. Non erano amici di Jaouad, pur conoscendolo, e hanno riferito di altri atteggiamenti aggressivi da parte di lui in passato. Venerdì mattina sarebbe arrivato fuori di sé: sceso dalla macchina, avrebbe divelto il cartello stradale trovato a terra nel cortile. Da capire se con l’intento iniziale di usarlo contro di loro, sta di fatto che avrebbe invece afferrato i sassi emersi a terra e li avrebbe scagliati contro il 28enne, il primo a scendere in cortile. Successivamente sarebbe sceso anche il 50enne, per difendere il fratello minore, e con un bastone avrebbe colpito Dejli, nell’ambito di una colluttazione sempre più accesa. A quel punto il 28enne avrebbe tirato fuori il coltello che aveva nella manica (all’insaputa del fratello maggiore) e avrebbe colpito Jaouad all’inguine. Lui si sarebbe trascinato per alcuni metri in strada, per poi collassare dissanguato.
I due hanno ribadito di aver appreso solo alla sera della sua morte, mentre erano in caserma, e si sono detti dispiaciutissimi: «Tutto pensavamo tranne arrivare a causare la morte di un nostro connazionale». Di questo tenore le loro parole al giudice. Il 28enne ha poi precisato, facendo un discorso del tipo: «Non volevo in alcun modo ucciderlo: se avessi voluto farlo, non avrei sferrato un colpo alla gamba ma in un’altra parte del corpo, più sensibile».
Al termine dell’udienza, il giudice non ha convalidato il fermo, così come aveva chiesto la difesa, non ritenendo sussistente il pericolo di fuga, ma ha comunque applicato la custodia cautelare in carcere. Restano dunque al Sant’Anna perché, spiega l’avvocato Ghini, «per il giudice, fatti salvi gli esiti degli accertamenti autoptici, allo stato attuale può ritenersi corretta la prospettazione avanzata dal pubblico ministero: si tratterebbe di omicidio volontario». La difesa farà poi i suoi rilievi nelle sedi opportune.
Intanto, stamattina in Procura verrà affidato l’incarico al medico legale che dovrà eseguire l’autopsia sulla salma del 36enne. Le difese nomineranno un loro consulente di parte. Dall’esame si attendono risultati fondamentali per ricostruire l’esatta dinamica dell’aggressione.