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L'intervista

Il turismo 4.0 «un fattore di rinascita»

di Giulia Cremonesi
Il turismo 4.0 «un fattore di rinascita»<br type="_moz" />

La parola alla docente di Unimore Francesca De Canio sulla digitalizzazione ed esperenzialità dei viaggi in montagna

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MODENA. Assegnista di ricerca in marketing presso l’Università di Modena e Reggio Emilia, la professoressa Francesca De Canio (nella foto in alto a destra) è una delle protagoniste di Alfonsa, la scuola di alta formazione e innovazione per lo sviluppo sostenibile dell’Appennino promossa dal network universitario della Regione Emilia-Romagna Uniappennino, guidato da Unimore sotto la direzione del professor Emiro Endrighi. Insieme a quest’ultimo, De Canio negli ultimi anni si è occupata di due corsi, “Turismo esperienziale in Appennino” e “Digital Tourism”. Il primo si concentra sul creare esperienzialità nell’ambito turistico dando valore alle zone specifiche delle aree montane e collinari, il secondo ha come focus la digitalizzazione del turismo per promuovere l’offerta per il “viaggiatore moderno”: colui che si affida al canale online per pianificare il proprio viaggio.

Professoressa De Canio, la rivoluzione digitale come ha cambiato il comportamento del consumatore come turista? L’effetto Covid è ancora presente?

«Il lockdown ha accelerato esponenzialmente l’abituarsi e l’affidarsi alle piattaforme digitali. Infatti la frontiera delle vacanze oggi è digital: l’online è il primo motore di ricerca per le scelte turistiche. E in rete esistono infinite piattaforme dove gli operatori possono interagire direttamente con il cliente permettendogli di diventare un partecipante attivo dell’offerta turistica. Vi sono diversi siti, ma le tecnologie alla base dello sviluppo turistico moderno sono i social media o i blog a cui tutti gli operatori, anche i più piccoli, devono adeguarsi per proporsi in maniera competitiva sul mercato. La pandemia ha ribaltato l’approccio: si è passati dall’overtourism (detto anche sovraturismo o sovraffollamento turistico, ndr) ad un turismo più slow, più selezionato, più fai da te. Le agenzie viaggi sono spesso scartate perché oggi il turista desidera esperienze più autentiche, di nicchia, a cui non tutti gli operatori sanno rispondere. Il Covid ha inoltre risvegliato la passione per le aree rurali».

Possiamo quindi parlare di turismo 4.0?

«Certamente, il turismo online è il turismo 4.0. Come esperienza vacanziera è pressappoco identica ad una tradizionale, l’unica differenza è che sono le piattaforme digitali a gestire il rapporto con il cliente. Il risultato è lo stesso, ma con un vantaggio in più: attraverso il processo di “peer review”, ovvero di revisione paritaria, l’utente viene a contatto con l’opinione di un altro consumatore, dunque di un suo pari, la cui voce pare certamente vera e disinteressata a differenza di quella di un operatore il cui onorario varia in base a cosa vende. L’utente è quindi invogliato da persone a lui simili a consumare. Inoltre, tra i vari turisti informatici si instaura uno scambio sociale reciproco: ogni esperienza aiuta un prossimo consumatore a decidere se prenotare o meno la vacanza in un posto piuttosto che un altro. Il fenomeno è così radicato che molte agenzie si attivano con piattaforme online riducendo le postazioni fisiche in favore di nuove modalità di organizzazione di viaggio per gli utenti, trasformandosi in contatti telefonici e siti web, per adeguarsi alle nuove necessità».

Ci spieghi come questo fenomeno influenza il nostro Appennino.

«Il turismo 4.0 può essere un fattore di rinascita per aziende colpite dalla pandemia, ma anche una nuova possibilità per ampliare mercati fino ad oggi poco esplorati come per esempio quello dell’Appennino. Negli ultimi anni il settore dell’accoglienza è stato continuamente vessato da svariate crisi: sanitarie, economiche, politiche e sociali che incidono più di quanto si possa immaginare. Le catene sono, in proporzione, quelle meno colpite poiché, disponendo di maggiori risorse e gestendo un mercato più ampio, sanno come arginare le eventuali perdite. I piccoli operatori, invece, non disponendo di tali vantaggi, possono essere soffocati anche da una semplice chiusura prolungata. I corsi promossi da Alfonsa offrono strumenti per migliorare il posizionamento di mercato e destagionalizzare l’offerta in modo da adattarsi per fronteggiare le crisi, anche quelle più impensabili, allineandosi quindi con le nuove richieste turistiche».

Dal suo punto di osservazione quali sono oggi le nuove tendenze del turismo in Appennino?

«L’enogastronomia e il benessere. Oramai chi viaggia desidera assaporare la destinazione turistica: sempre più spesso percorsi naturalistici o culturali vengono abbinati a vere e proprie degustazioni territoriali. Per rispondere a tale necessità il professor Endrighi ed io abbiamo lavorato per anni ad un Master di primo livello in lingua inglese in grado di soddisfare questa domanda.

A partire dai primi di novembre di quest’anno il corso “Food and wine tourism” si rivolge sia a neolaureati che ad operatori turistici affamati di conoscenze gastronomiche ed enologiche relative al turismo in Italia o all’estero. Il master nasce dal pacchetto di programmazione didattica Fooder promosso dalla Regione Emilia-Romagna con l’obiettivo di mettere in campo attività didattiche con focus alimentare in tutti gli atenei emiliano-romagnoli.

Il desiderio di benessere è invece un chiaro strascico della pandemia: sempre più consumatori sentono la necessità di un contatto più esperienziale con la natura e l’aria aperta. L’Appennino risponde a tale esigenza con percorsi escursionistici, ciclistici o semplici camminate. Questa forma di turismo è chiamata slow tourism perché, in maniera lenta, appunto, si attraversa e vive il territorio entrando in contatto con esso, con la cultura, i locali ed il patrimonio storico. La vacanza diventa occasione di socializzazione con gli altri, viaggiatori e non».

Qual è il corso che più l’ha entusiasmata di Alfonsa? E quale consiglia?

«Dal mio punto di vista, in quanto organizzatrice, entrambi i corsi hanno un valore importantissimo per gli operatori. Al di là di ciò, dal punto di vista umano, ciò che mi ha colpito dell’esperienza è stato l'entusiasmo di chi ha partecipato ai corsi. Il professor Endrighi ed io ci siamo resi conto della necessità sul territorio di organizzare corsi sempre più pratico-esperienziali. Inoltre siamo orgogliosi di essere riusciti a soddisfare, in parte, una nostra personale ambizione: quella di creare, per quanto possibile, connessione tra i partecipanti. In entrambi i corsi, infatti, seppur in maniera diversa, abbiamo notato un buon affiatamento tra gli iscritti. Ciò deriva, in parte, anche dalla discreta attività di preselezione che facciamo in questo senso: preferiamo avere meno iscritti che però leghino bene tra loro perché desideriamo nel lungo periodo creare un network. Attualmente consiglio il corso proposto da Alfonsa e organizzato dalla professoressa Stefania Benvenuti dell’Università di Modena e Reggio Emilia sulle piante officinali: è uno di quelli che riscontra la maggiore affluenza».