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A Castelvetro l’ultima “eroica” bancarella che vende cd e cassette

di Daniele Montanari
A Castelvetro l’ultima “eroica” bancarella che vende cd e cassette

Giuliana e il marito Antonio gli unici con la musica “di una volta”

21 agosto 2024
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Castelvetro Sono tra gli ultimi testimoni di un mondo affascinante che ormai va scomparendo, a causa di internet, del download e dello streaming. Giuliana Reggianini da Ca’ di Sola con “La bancarella del disco” continua a girare la provincia assieme al marito Antonio Mascolo portando cd e musicassette (ma anche vinile) nei mercati settimanali. Sono gli unici a farlo ancora in provincia, e tra i pochissimi rimasti in regione. Hanno vissuto tutta la straordinaria parabola dei supporti musicali in questi anni, una vera avventura per molti aspetti.

Giuliana, com’è iniziata?

«Io ho cominciato a fare i mercati da ragazza, aiutando i miei genitori che avevano un banco di giocattoli, a cui negli anni ’70 aggiunsero anche la musica. Nel 1981 ho rilevato la licenza dedicandomi alla musica, che in quegli anni era in espansione straordinaria. Con Antonio ci siamo sposati nel 1974, poi nel 1975 anche lui si è dedicato ai mercati, partendo subito con la musica rilevando la licenza di mio nonno. Per tanti anni ci siamo divisi i mercati: io andavo in pianura e lui in montagna. Poi, vista la crisi del settore, adesso siamo assieme in un’unica bancarella. Con internet il mercato della musica “fisica” è crollato, ne abbiamo dovuto prendere atto nella bancarella: una volta era tutta di musica, adesso è confinata in tre metri, il resto sono magliette e accessori legati alla musica, e abbigliamento. Diciamo sempre che è l’ultimo anno, poi l’amore per il mercato e lo stare in mezzo alla gente ci fa continuare. Il mercato è la mia vita: tra l’altro, è da 23 anni che sono vicepresidente del Consorzio di Modena. Qui una volta c’erano 12 banchi di musica».

Quali gli anni d’oro?

«Quelli della cassetta: la musica si ascoltava soprattutto in macchina, e le autoradio non avevano ancora il cd. Arrivavamo ad acquistare 300-400 cassette al mese per un’etichetta. Ma non è stato facile per noi guadagnare credito nel settore, ci siamo dovuti conquistare la fiducia. Un episodio, per capire. Alle Messaggerie Musicali di Bologna, che gestivano etichette cruciali, continuavano a chiederci i contanti, non permettendoci di pagare dopo. Una volta io e Antonio avevamo fatto un ordine da 10 milioni di lire, tra cassette, cd e 45 giri. Per “protesta” abbiamo pagato con tutte banconote da 5mila lire: 10 milioni in banconote da 5mila lire. Le abbiamo “scaricate” sul tavolo e la commessa è andata a chiamare il direttore. Da allora, ci hanno permesso di pagare anche dopo, tramite banca. Hanno iniziato a darci credito, e nel tempo è sempre cresciuto anche dalle altre etichette, che sono arrivate a dirci “prendete quel che volete”. Ma era troppo tardi: il mercato era già in crisi, e poi è crollato. Il calo è cominciato col cd, che non si rovinava mai, a differenza delle cassette e del vinile. Poi internet è stata la batosta. È cambiato il mondo, un po’ com’è stato per i fotografi».

Chi compra ancora musica “fisica” oggi?

«Abbiamo ancora diversi clienti sui 50-60 anni e oltre, che compravano cassette e cd da ragazzi: magari sanno scaricare da internet, ma sono rimasti fedeli al contatto fisico con la musica. E poi ci sono i veri fan, quelli che vogliono l’oggetto del proprio idolo, che sia cd in edizione speciale o vinile, o cassetta. A Zocca abbiamo venduto tutte le cassette che ancora avevamo di Vasco, e ci sono tuttora tanti alla ricerca di edizioni speciali. C’è poco da fare: la musica è più bella con un oggetto fisico».

I negozi di cd invece sono scomparsi...

«In sede fissa, con gli stessi clienti, quando il mercato è andato in crisi lo hanno sentito subito. Abbiamo visto in tanti fallire, sia per il mercato sia perché a volte hanno fatto il passo troppo lungo. Noi non abbiamo mai voluto aprire una vendita fissa, e spostandoci sul territorio, con una clientela varia, abbiamo resistito di più. Siamo rimasti piccoli, con solo una bancarella, ma siamo ancora qua».

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