Modena, la testimonianza shock: «Molestata ogni giorno mentre vado al lavoro»
Sofia, pendolare bolognese di 29 anni: «Un incubo il tragitto dalla stazione dei treni, tra insulti e pedinamenti»
MODENA. Sarebbe bello pedalare per le strade della città con la consapevolezza che non sarà necessario mettere la musica a tutto volume nelle cuffiette per non sentire chi, ai bordi del marciapiede, fa catcalling. Oppure non avere l’ansia di incontrare un molestatore a due passi dall’ufficio quando si deve rientrare a casa. Ecco, per Sofia, libertà significa potersi dirigere a lavoro senza dover subire delle molestie.
Ciò che è stato appena descritto, infatti, è solo una piccola parte dell’incubo che sta vivendo, lei come tante altre donne. Come detto, si chiama Sofia, ha ventinove anni, e da sei mesi fa un lavoro che ama. Abita a Bologna e quindi ogni mattina prende un treno per arrivare Modena, portando con sé la sua bicicletta. Scende dal regionale e pedala fino all’ufficio, percorrendo via Caduti in Guerra, a due passi dal centro. Ma mai avrebbe creduto, che quella ciclabile che l’aveva accompagnata per diversi mesi, si sarebbe presto trasformata in una delle sue più grandi paure. «Ho sempre ricevuto commenti e occhiate quando passavo per quella via – comincia a spiegare la giovane – Ma in poco tempo la situazione è del tutto degenerata. Un soggetto in particolare, che ho sempre visto durante i miei tragitti, ha iniziato a seguirmi. Mi rincorre e fa con me un pezzo di strada chiamandomi, implorandomi di fermarmi con lui. Da tempo ha imparato i miei orari. Sa quando esco dall'ufficio e mi aspetta poco più avanti. Ogni volta che lo vedo, rimango pietrificata». Ma raccontiamo la vicenda dall’inizio.
L’incubo di Sofia inizia lunedì mattina. Alle 8.30 esce dalla stazione dei treni e si dirige verso l’ufficio. «Era tutto come sempre - riporta Sofia - Percorrendo la ciclabile ho visto i soliti volti. Mi riferisco a gruppi di persone composti sia da uomini che da donne che spesso stanno seduti sulle panchine che costeggiano la strada. Era già capitato che mi facessero catcalling durante il tragitto. Ma io, costringendomi a mettere la musica a tutto volume nelle cuffiette, li ignoravo e passavo avanti. A tutta velocità». Quel giorno, però, è andata anche peggio: «Uno di quei ragazzi ha iniziato a oltrepassare l’asticella della mia tolleranza - racconta - è un uomo sulla trentina, di nazionalità centrafricana. Quelle che di solito erano interazioni “a distanza”, come molestie verbali da un lato della strada all’altro, sono iniziate a diventare più ravvicinate e insistenti. Si è alzato e mi ha fatto un cenno, io ho proseguito senza fermarmi. A quel punto ha preso la sua bicicletta e ha iniziato a pedalare accanto a me, dicendo che voleva parlarmi. Mi sono sentita a disagio e ho accelerato, cercando di ignorarlo, ma lui ha continuato a seguirmi insistentemente, chiedendomi di fermarmi con lui. Ho risposto di no e sono andata via».
Al semaforo del teatro Storchi finalmente l’inseguimento sembrava essere terminato. Ma quello non sarebbe stato un episodio isolato, tutt’altro.
Lo stesso copione, infatti, si è ripetuto anche il giorno successivo: «Avanti e indietro, sempre. Non capiva i miei “no”– spiega ancora Sofia – Guardandomi da mesi, ormai aveva imparato i miei orari e sapeva dove trovarmi: al mattino all’andata in stazione, e la sera al ritorno da largo Garibaldi. Qualche mattina fa ho avuto davvero paura - racconta - Lui mi stava già aspettando vicino alla fontana che c’è dalla rotonda della stazione. Appena i nostri sguardi si sono incrociati è iniziato di nuovo l’inseguimento, e intanto mi diceva frasi come “ciao bella”, “fermati” o “vieni qui”. Al solito semaforo dello Storchi si è fermato, e ha aggiunto bonariamente un “buona giornata amore”. Poi, mi ha lasciata andare».
Ogni volta che Sofia si avvicina al centro, infatti, l’inseguimento si ferma, «come se non volesse mostrarsi minaccioso davanti agli altri». Poco prima di iniziare il turno di lavoro, sempre qualche mattina fa, Sofia ha intravisto una volante della polizia vicino al suo ufficio. E così, ha vuotato il sacco: «Ho raccontato tutto e descritto il ragazzo - afferma - Gli agenti lo hanno riconosciuto. Mi hanno detto che è un soggetto che tengono d’occhio da tempo per questioni di spaccio. Poi, mi hanno detto che non potevano fare più di tanto. Ho provato a controbattere e mi hanno risposto che non mi avrebbero potuta scortare dall’ufficio alla stazione, e che mi consigliavano di cambiare percorso in bicicletta. Al pomeriggio – continua Sofia – sono tornata verso la stazione cambiando tragitto, e penso che da adesso in poi farò sempre così. Ma la paura rimane. Io non conosco le intenzioni di questo ragazzo – prosegue Sofia – magari non vuole davvero farmi del male o mettermi paura. Ma tutte le volte che lo vedo provo una sensazione di disagio e, quando ho cercato conforto, non mi sono sentita tutelata in alcun modo. Quante altre volte dovrò incontrarlo prima di essere aiutata? E, soprattutto, quando inizierò a sentirmi davvero al sicuro?», conclude con amarezza.
© RIPRODUZIONE RISERVATA