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Il commento

Niente smartphone a scuola? «Meglio vietare i social fino agli 80 anni»

di Cristiana Minelli
Niente smartphone a scuola? «Meglio vietare i social fino agli 80 anni»

Lo psicologo Matteo Lancini, ospite al Festival Filosofia di Modena, Carpi e Sassuolo, sullo stop al telefonino per gli studenti Under 14: «Ipotesi irrealizzabile, il problema sono gli adulti»

14 settembre 2024
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MODENA. Non il diritto e nemmeno il dialogo, ma la relazione che accetta anche quel che ci disturba, ci salverà.

Parola di Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta in questi giorni ospite del Festival Filosofia di Modena, Carpi e Sassuolo (oggi alle 14 in piazza Martiri a Carpi parlerà proprio di adolescenti nella lezione «Come io ti voglio») – che per le sue competenze rappresenta una voce interessante a proposito del dibattito, seguito al divieto dell’utilizzo in classe del telefono cellulare disposto da una circolare del Ministro Valditara e alla petizione-appello che ha invitato il governo italiano a vietare l’uso personale degli smartphone ai minori di 14 anni e l’apertura di profili social ai ragazzi sotto i 16, lanciata da Daniele Novara, pedagogista, e Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta e sottoscritta, oltre a numerosi personaggi del mondo dello spettacolo.

Professor Lancini, disciplinare l’utilizzo dei social e delle nuove tecnologie da parte degli adolescenti è una questione di diritto?

«Penso che questa iniziativa sia un segnale di fragilità, di una dissociazione, da parte degli adulti, senza precedenti. Non è una ipotesi realizzabile, come altre che hanno già fatto perdere credibilità agli adulti. Che vivono sui social una vita “onlife” non sapendone fare a meno e poi lanciano appelli perché i ragazzi non vi abbiano accesso. Non esiste nessuna relazione, su base scientifica, fra disagio giovanile e utilizzo dei videogiochi o di internet. Anzi occorre un’educazione digitale alla vita iperconnessa che ci siamo costruiti».

Il problema sta nello strumento in sé o nella spiegazione del suo utilizzo?

«Vita virtuale e vita reale convivono – la stessa intervista che stiamo conducendo io e lei ne è un esempio – non ha più senso vedere il telefonino come uno strumento. Farlo significa non rendersi conto della società che abbiamo creato. Il governo, di recente, è andato in crisi per colpa di un social, in precedenza ha governato la pandemia attraverso lo stesso strumento. È la società contemporanea, quella in cui i ragazzi sono cresciuti. Io ho proposto di vietare l’uso dei social, cui sono totalmente contrario, fino agli 80 anni. Bisognerebbe prendere provvedimenti nei confronti degli adulti, che invece vogliono prenderne nei confronti degli adolescenti, solo per farsi notare. I ragazzi, cui abbiamo disboscato la terra, inquinato il mare, che abbiamo resi più poveri di noi, ora non devono utilizzare gli smartphone? Per colpa di adulti dissociati che non li aiutano ad avere un futuro?».

La condizione psicologica di ragazzi, che comunicano quasi esclusivamente via smartphone, può soffrire di un divieto come questo, perentorio, a norma di legge?

«La verità è che abbiamo sequestrato il corpo dei nostri figli, perennemente custoditi, al riparo da un mondo che noi abbiamo reso pericoloso. Impediamo loro di muoversi, di tornare da soli da scuola, di fare esperienze di relazione con i coetanei. La mia generazione ha frequentato cortili e campagne e dato battaglia. Passaggio fondamentale per l’affermazione di sé. Internet oggi è l’unico spazio in cui un figlio adolescente possa sperimentare se stesso al di fuori del controllo degli adulti. I più grandi “spacciatori” di Internet sono la mamma, la famiglia e la scuola italiana. I ragazzi hanno bisogno di mettere il corpo fuori dalla Rete ma per farlo occorre che gli adulti rinuncino alla Rete per primi. Si disconnettano».

Il dialogo fra genitori e figli potrebbe essere un’alternativa o da solo non è sufficiente?

«Non è un problema di dialogo ma di relazione, l’ho scritto anche nel mio libro «Sii te stesso a modo mio. Essere adolescenti nell'epoca della fragilità adulta» (Raffaello Cortina editore). Gli adulti oggi ascoltano i ragazzi però mettendo a tacere quel che li disturba, la tristezza, la rabbia. L’unica via di uscita è la relazione che accetta chi ha di fronte, con le sue incertezze, le sue fragilità. Senza internet i ragazzi rischiano di sentirsi di nuovo soli. Un disagio che può essere all’origine di un vuoto identitario e poi di un’ansia generalizzata. Avere una relazione significa fare le domande giuste e legittimare (che non significa dare ragione) le emozioni dell’interlocutore. Che in questo modo si sentirà ascoltato».l