Riparte la scuola tra novità e problemi. Valditara: «Prof pagati poco, non è colpa nostra»
Il ministro dell'Istruzione e del Merito analizza le principali criticità dell'anno scolastico al via e spiega le ragioni del "no" agli smarphone e del ritorno al diario
Gli stipendi degli insegnanti italiani sono (ancora) bassi «perché dal 2009 al 2020 non ci sono stati aumenti contrattuali. Noi, invece, chiudiamo due contratti nell’arco di due anni». E sui docenti precari «che sono tanti, senza ombra di dubbio» è importante dire che «il numero non è cresciuto: al contrario, già entro dicembre scenderanno a 155mila grazie alle immissioni in ruolo». Il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara spiega come il governo affronterà le principali criticità della scuola, tra cui quella del sostegno: pochi gli insegnanti specializzati in tutta Italia con una situazione d’emergenza in alcune regioni, tra cui la Sardegna.
Ministro Valditara, iniziamo dal tema del sostegno. A una richiesta in costante aumento non corrisponde una crescita dei docenti specializzati e questo comporta un ricorso massiccio ai precari. Perché?
«Negli ultimi 10 anni le certificazioni di disabilità sono costantemente aumentate e per questo c’è un grande bisogno di docenti di sostegno. Ma quelli specializzati sono pochi rispetto al fabbisogno di alcuni territori perché il sistema universitario, che gestisce i corsi, nel suo complesso si è rivelato inadeguato, non specializzando un numero adeguato di insegnanti. Ciò avviene in particolare nel Nord. E senza specializzazione non si può essere assunti in ruolo».
Come pensate di affrontare questa situazione?
«Cambieremo sistema. Abbiamo affidato all’Indire il compito di affiancare le università nella specializzazione sul sostegno dei docenti precari. La platea degli interessati è molto ampia: su 165mila insegnanti non di ruolo, 108mila operano nel sostegno. E tra questi ultimi, 85mila hanno almeno tre anni di docenza alle spalle. Si partirà da questi supplenti: faranno un corso apposito e una volta specializzati saranno gradualmente assunti».
Come saranno organizzati i corsi di specializzazione e quando inizieranno?
«Si parte nel 2025. I dettagli saranno concordati con l’Osservatorio scolastico sulla disabilità. Posso anticipare però che ci sarà, oltre a una parte generale comune, una formazione specifica su macroaree della disabilità».
Sempre sui precari, gli idonei del concorso 2020 dicono che il Governo li ha scaricati per dare la precedenza ai vincitori dei concorsi Pnrr.
«Al contrario, sono stati i governi precedenti a scaricare e ignorare gli idonei 2020, tanto che la loro idoneità durava solo 24 mesi. Siamo stati proprio noi a recuperarli: l’anno scorso con un apposito decreto legge abbiamo prorogato la loro idoneità fino all’esaurimento delle graduatorie. Se non fossimo intervenuti avrebbero dovuto rifare i concorsi. Saranno dunque tutti gradualmente assunti, anzi 6mila sono immessi in ruolo già per questo anno scolastico».
Perché non avete utilizzato tutte le facoltà assunzionali?
«Un accordo tra il precedente governo e la Commissione europea ha stabilito che entro il 2024 attraverso i concorsi Pnrr avremmo dovuto assumere 70mila docenti. Un’operazione irrealistica. Noi abbiamo trattato con l’Ue e ottenuto di scaglionare le 70mila assunzioni dei vincitori di concorso Pnrr in tre anni, con l’ultima tranche entro la fine del 2026. Se non avessimo chiesto e ottenuto questa deroga non avremmo potuto assumere 46mila precari l’anno scorso e i 6mila idonei quest’anno. In autunno partirà un secondo concorso per altri 20. 000 posti Pnrr. Non abbiamo potuto utilizzare tutte le facoltà assunzionali per questo anno scolastico perché altrimenti non avremmo potuto bandire ora il secondo concorso Pnrr.
Che cosa potrebbe comportare il mancato rispetto dell’accordo con la commissione Ue?
«Se non lo rispettiamo mettiamo a rischio il pagamento dell’ultima tranche dei fondi Pnrr per l’Italia, circa 24 miliardi. Siccome siamo pienamente convinti che questo meccanismo sia troppo rigido ho chiesto al Ministro Fitto di trattare con la Commissione la concessione di ulteriori margini di flessibilità».
Un altro tema fa discutere: è quello degli stipendi degli insegnanti italiani, tra i più bassi d’Europa. Di chi è la colpa?
«Sicuramente non nostra, considerato che nell’arco di due anni abbiamo predisposto ben due rinnovi contrattuali. Il primo è stato siglato nel 2023, l’altro arriverà a fine anno. L’ultimo contratto siglato risaliva al 2020, quello precedente addirittura al 2009, governo Berlusconi. Per 11 anni non è accaduto nulla. Poi nel 2020 l’aumento è stato del 3, 48%. Noi l’anno scorso abbiamo concluso un nuovo contratto che avrebbe previsto un aumento del 3, 9% se non ci fossero stati i 300 milioni che ho sbloccato, destinandoli alla contrattazione: quindi l’aumento è stato del 4, 5%: il più importante degli ultimi 20 anni. Ora con la scorsa legge finanziaria abbiamo investito 3 miliardi e con il nuovo contratto avremo dunque un ulteriore aumento del 5, 8%. In due anni 4, 5 più 5, 8, a cui dobbiamo aggiungere un 6-7% di aumento legato al taglio del cuneo fiscale: in totale un aumento del 17%, molto più alto dell’inflazione stimata dall’Istat. Chi dice che il Governo italiano non ha a cuore il comparto degli insegnanti parla a vanvera. E non lo diciamo solo noi».
Chi lo dice?
«Lo dice Invalsi, per esempio, che sta facendo una analisi molto seria sui salari. Se l’Italia era sino a poco tempo fanalino di coda, nel 2023 la posizione è cambiata e ora supera paesi come la Francia e il Portogallo, dopo 15 anni di anzianità anche la Svezia. A fine carriera in termini di potere d’acquisto il salario di un insegnante italiano secondo Invalsi sarebbe superiore a quello di un collega svedese e finlandese».
Due giorni fa è stata diffusa la notizia della bocciatura del Liceo Made in Italy da parte del Consiglio di Stato, poi c’è stata una retromarcia. Quale è la verità?
«La verità è una sola: è stata data una notizia falsa, perché il Liceo del Made in Italy non è stato bocciato e proseguirà regolarmente. Il Consiglio di Stato ci ha comunicato, con parere non vincolante, che attendeva il parere della Conferenza Stato-Regioni, che poche ore dopo è arrivato ed è molto positivo. È vergognoso che alcuni politici di opposizione e qualche sindacalista abbiano polemizzato dimostrando o malafede o non conoscenza della pubblica amministrazione».
Divieto di smartphone a scuola sotto i 14 anni e la reintroduzione del diario alle Medie: la accusano di osteggiare la tecnologia.
«Dico che l’Unesco e l’Ocse hanno lanciato l’allarme sull’utilizzo degli smartphone, perché hanno un impatto negativo sulla capacità di memorizzazione e sulla concentrazione, altri studi evidenziano gli effetti negativi addirittura sulla formazione della personalità. Utilizzato a scopi didattici riduce le performance dei ragazzi. È del resto di pochi giorni fa l’appello al Governo dei maggiori pedagogisti italiani che chiedono di vietare del tutto l’uso del cellulare ai minori di anni 14 e i social sotto i 16 anni. Utilizzare il diario è importante, il rapporto con carta e penna è fondamentale: i bambini e i ragazzi non devono chiedere ai genitori di vedere per loro sul Registro elettronico che compiti hanno, oppure di avere un cellulare per potersi collegare al Registro elettronico, ma devono saperlo già in classe. È un passo in direzione della responsabilizzazione e della autonomia».