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L'intervista

Stefania, una delle Oss licenziate dall'Ausl di Modena: «Usata e lasciata senza lavoro»

Stefania, una delle Oss licenziate dall'Ausl di Modena: «Usata e lasciata senza lavoro»

Da lunedì le lavoratrici verranno mandate a casa. «Mi sono rotta la schiena per aiutare i pazienti: rivorrei solo il mio posto»

26 settembre 2024
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MODENA. Lacrime, delusione, orgoglio. Un amore enorme per la propria professione al servizio degli altri, in ospedale.

No, non è stato un colloquio semplice. La donna che abbiamo di fronte era in corsia a difendere i pazienti modenesi dal covid e ora piange davanti, mentre tornano a spalancarsi le porte della sua disoccupazione.

È una delle 14 oss (operatrici socio sanitarie) modenesi che da lunedì perderanno il posto. Perché? Lo ha spiegato Cisl Fp: nonostante ci sia un forte bisogno di queste figure, Ausl ha deciso che prima di tutto ci sono i bilanci e quindi stabilizzare queste professioniste – che vengono da un precariato lunghissimo e avrebbero i titoli per ottenere il tempo indeterminato – è meno conveniente che impiegare sanitari forniti da un’agenzia interinale.

Lei si chiama Stefania, è un nome di fantasia – «Perché ho paura, se mi scoprono ci saranno rappresaglie pesanti» – e fino al 30 settembre servirà in uno degli ospedali modenesi.

Ha poco meno di dieci anni di esperienza, una lunga gavetta: «Ho studiato per diventare Oss perché mi sono innamorata di questo lavoro, sono entrata in Ausl con un concorso e, nonostante possa essere stabilizzata domani, dopo tante promesse dei dirigenti ora sono di nuovo a spasso. Mio marito mi dice di lasciar perdere, di trovare un altro posto ma questo lavoro mi ha insegnato ad amare la vita. Mia e degli altri. Sono un’operaia della sanità, la mia è una famiglia di operai. Sappiamo come vivere con quel poco che c’è».

Stefania, cos’è il mestiere dell’Oss?

«È la cura più intima che puoi dare ad un paziente. Quando lo aiuti a mangiare, quando lo pulisci perché da solo non riesce. Quando corri perché sta urlando. Quando raccogli il cibo che gli cade dalla bocca. Essere oss è la meraviglia di lavorare con colleghe fantastiche e professionisti speciali. Ed è la delusione (piange, ndr) di grandi promesse fatte da chi ti sbatte da un reparto all’altro, ti chiede favori e ti dice “tu non hai problemi, ce ne ricorderemo”. Ti fidi, credi che conti solo la qualità del tuo lavoro, stai buona e tranquilla e poi scade il contratto e ti ritrovi a casa disperata. Mi è successo la scorsa primavera quando ho raggiunto i tre anni di servizio come precaria. Lunedì tornerò a vivere questo incubo».

Stefania, cosa farà da lunedì prossimo?

«Sarò di nuovo disoccupata e dovrò vivere con il sussidio della Naspi. La scorsa primavera, quando erano scaduti i 36 mesi di contratto precario, sono stata lasciata a casa. Mi hanno richiamata in servizio alle porte dell’estate, per l’emergenza personale. Per avere la disoccupazione ho dovuto passare per un centro per l’impiego e poi per un’agenzia interinale, dove ho patito un’umiliazione assurda: pochi giorni prima curavo malati gravi e due giorni dopo mi chiedevano se posso prendere un treno, se ho la patente e se sono divorziata».

Quanto guadagna un Oss?

«1.450 euro al mese che comprendono turni di notte, sabati e domeniche, rientri fuori turno. Ho colleghi che sono in medicina e non prendono nessuna indennità. Sei sfruttato, sempre. Con la disoccupazione avrò 1.160 euro netti il primo mese e poi, come sapete, l’importo inizia a calare».

Cosa significa per lei il suo mestiere?

«È tutto. Essere oss è molto più che curare degli infermi. Lavoro con infermieri eccezionali ma sono costretti a muoversi come se fossero in una catena di montaggio. Devono correre, hanno un computer che dice catetere al letto 42, pillola al letto 21. Non hanno più tempo di guardare i pazienti e li chiamano per numero. Il sistema è così a corto di personale che tutti rischiamo di inseguire risultati dimenticando che davanti abbiamo degli esseri umani».

Fosse qui la direttrice generale Ausl, Annamaria Petrini, cosa le chiederebbe?

«Vorrei solo fare il mio lavoro. Mi sono rotta la schiena per Ausl, vorrei che l’azienda capisse che una persona che lavora in ospedale non può farcela a reggere con il guinzaglio corto della precarietà. Parlo per me: se fossi assunta a tempo indeterminato andrei a lavorare ancora più volentieri. E chiederei alla direttrice cosa devo fare: per anni mi hanno detto “tu non hai problemi, ce la farai” e ora vivo col problema di un’azienda che mi condanna alla fame».

Ricorda quando vi chiamavamo eroi del covid?

«Non mi sono mai sentita un’eroina. Insieme a colleghi incredibili abbiamo fatto quello che dovevamo mentre fuori tutti scappavano. Molti di noi sono ancora precari e comincio a credere che ci abbiano usati come carne da macello, proprio come stanno facendo oggi: abbiamo appena finito un’estate nel corso della quale, noi precari Ausl e gli interinali, siamo stati spesi per coprire i buchi del personale che andava in ferie, volando notte e giorno come palline da flipper in ostetricia, in dialisi, in medicina, ovunque».

Sembra una guerra, non un lavoro.

«Voi giornalisti dite sempre che siamo in trincea e in guerra, ma sapete davvero cosa sono?»

Ce lo spieghi, Stefania.

«Essere in trincea significa che negli ospedali modenesi manca tanto, troppo personale. Significa che ci sono colleghi che in due hanno gestito poco meno di 40 pazienti, quasi tutti dementi. Significa che sei da sola con una collega a dover sollevare un uomo enorme per metterlo sul cuscino che previene le piaghe da decubito. Pesa troppo, ti servono 30-40 minuti ma intanto il reparto resta sguarnito e poi devi volare per non lasciare indietro nessuno. Ti dimentichi di mangiare qualcosa e di andare in bagno per cambiare chi si è defecato addosso, perché non puoi e non vuoi lasciarlo sporco per ore. Significa fare turni di notte con una squadra troppo piccola di tre infermieri e una sola oss o non trovare nessuno nel turno del mattino».

La sanità è guidata dalla Regione. Cosa vorrebbe dire al nuovo o alla nuova presidente dell’Emilia-Romagna?

«Presidente la prego: salvi la nostra sanità, c’è un bisogno disperato di personale qualificato che sappia dove mettere le mani. Dica basta al personale che costa meno ma può subire tutto, dica basta allo spreco di personale qualificato che stiamo costringendo a lasciare Modena. Presidente venga in ospedale, parli con noi e non si faccia raccontare la sanità dagli stessi super manager che ci stanno umiliando. Le sembra normale che a Modena, capitale del lavoro e del saper fare, io e altri 13 colleghi Oss, sui quali Ausl ha investito soldi pubblici per la nostra formazione, non possiamo più lavorare e al posto nostro andranno avanti degli interinali?».

Buona fortuna per tutto, Stefania.

«Grazie di cuore. E alla Gazzetta chiedo di non lasciarci soli».