Gazzetta di Modena

Modena

La testimonianza

Infermieri picchiati in ospedale, la testimone: «Calci e pugni, il mio collega grondava sangue»

di Manuel Marinelli
Infermieri picchiati in ospedale, la testimone: «Calci e pugni, il mio collega grondava sangue»

Il drammatico racconto di un sanitario che ha assistito alla folle rissa avvenuta lunedì 28 ottobre a Baggiovara nel reparto dell’unità di Terapia intensiva coronarica: «Aggressione organizzata dai parenti della pazienta, una violenza che lascia senza parole»

29 ottobre 2024
6 MINUTI DI LETTURA





MODENA. Reparto di cardiologia, ospedale Civile di Baggiovara. Due giorni fa, lunedì, la furia di tre persone si è scatenata contro due infermieri, uno dei quali “reo” di aver proposto ad una loro familiare, ricoverata, di effettuarle un prelievo di sangue attraverso un tirocinante e di aver spiegato alla signora l’importanza di permettere ai ragazzi di crescere professionalmente. Una pratica abituale negli ospedali in cui gli studenti terminano il loro percorso di studi. Una aggressione perpetrata sotto gli occhi di diversi testimoni, una delle quali ripercorre quei momenti, con ancora la voce rotta dall’emozione di quegli istanti che le sono sembrati interminabili. Parole che non sono semplici da proferire, ed è comprensibile. C’è paura tra i professionisti della sanità. La paura di esporsi e di subire violenze, minacce, di incontrare gli aggressori. Uno dei quali, ancora ieri, si aggirava tranquillamente nell’ospedale, col reparto piantonato stabilmente dalla vigilanza. La professionista lavora all’ospedale di Baggiovara fin dalla sua inaugurazione ed è una tecnica della cardiologia.

La testimonianza del collega

«È stato un pestaggio bene organizzato. Condotto da tre persone facenti parte della famiglia della paziente che abbiamo in Cardiologia. Una ragazza impediva al nostro collega infermiere di scappare, sbarrandogli la porta. Il marito e un altro ragazzo, intanto, lo picchiavano con una violenza che ci lascia ancora senza parole. Calci, pugni, lo hanno sbattuto contro il muro e con la schiena ha urtato pesantemente un estintore. Aveva un dolore tremendo alla schiena e alle costole e uno di loro gli ha detto: “Non finisce qui”».

Una giornata di terrore. Cosa avete provato?

«Era mattina e mi stavo recando in reparto. Ho sentito delle urla, il rumore delle scarpe che sbattono e scivolano sul pavimento. Mi sono precipitata e, al confine della terapia intensiva, c’era il mio collega, coperto di sangue, piegato dal dolore. L’ho subito soccorso, facendolo sedere su una sedia a rotelle. Ci siamo rifugiati nella guardiola e intanto sono arrivati tanti altri colleghi. Abbiamo chiamato urgentemente il pronto soccorso, dove ci siamo recati scortati dalla vigilanza e dall’agente del posto di polizia ospedaliero, arrivato poco dopo. Avevano paura che incontrassimo gli aggressori nei corridoi, temevano che potessero tornare ad assaltarci e non ci hanno mollato un secondo».

L’aggressione come si è sviluppata?

«Dopo l’ormai famoso prelievo di sangue alla paziente che è da noi, il nostro collega stava proseguendo il suo lavoro, era al box numero sei. Sono entrati gli aggressori, in tre. Aprendo le porte, incuranti del divieto di ingresso per la fine dell’orario di visita. Hanno chiesto a gran voce dove fosse l’infermiere che aveva fatto il prelievo alla loro congiunta. Il nostro collega è uscito in corridoio e il più anziano dei tre, il marito della paziente, gli è andato davanti sferrandogli, velocissimo, un pugno al volto».
Un’aggressione premeditata?
«Senza dubbio. Sono venuti per picchiare il nostro collega, riuscendoci perfettamente. Lo hanno ridotto malissimo: aveva il viso tumefatto, ha perso le lenti a contatto, i suoi occhi erano rossi forse per i capillari scoppiati, la faccia era deformata dal sangue che usciva da un taglio. È stato un massacro. Dopo il pestaggio, i tre sono tornati al piano della cardiologia alle 13, come se nulla fosse. Ai due uomini è stato detto di andare via, alla ragazza è stato concesso di rimanere in visita alla madre».

È vero che due degli aggressori sono stati trasportati al pronto soccorso?

«Sì. Il nostro collega infermiere è riuscito per un attimo a reagire dopo le prime scariche di botte. Il più anziano dei tre aggressori ha preso una testata, un altro ha ricevuto un calcio in zona inguinale mentre si accaniva sul nostro collega riverso a terra. L’anziano si è fatto la notte in osservazione breve intensiva per un trauma al naso, credo. Fatto sta che in pronto soccorso la vigilanza, la Polizia e poi anche i Carabinieri erano lì per proteggerci e per evitare che si avvicinasse ancora il gruppo degli aggressori».

Pare che i due infermieri vostri colleghi siano stati denunciati da chi li ha aggrediti. Come commenta questa notizia?

«Assurdo. Già la vita va al contrario, non penso che ora si possa accettare una roba del genere. Non con una legge che prevede multe pesanti per chi ci picchia. Ci sono tantissimi testimoni, tutti hanno visto quello che è successo. Mi permetta di dire, casomai, che è sorprendente che uno degli aggressori oggi fosse serenamente in giro nell’ospedale».

Sta dicendo che uno degli aggressori era ancora vicino al vostro reparto?

«Oggi uno dei tre, il ragazzo, era nuovamente in ospedale. Abbiamo provato paura e sconforto nel vederlo girare e per fortuna che il reparto è stato piantonato tutto il giorno dalla vigilanza privata, per proteggerci. Secondo lei si può vivere e lavorare così? Tutti noi del reparto ci siamo chiesti come mai, dopo il disastro che è successo, nessuno tra le autorità preposte abbia pensato di fare un ordine restrittivo o qualsiasi cosa per tenere alla larga queste persone. Loro sono stati colti in flagrante ma noi abbiamo dovuto vivere tutta la giornata con la scorta. Incredibile. Abbiamo lavorato tra lo sconforto e con molta paura addosso. Molte di noi sono donne, cominci a pensare che se vai al parcheggio potresti essere seguita e hai il timore che l’auto possa essere stata vandalizzata. Perché i nostri ieri hanno sentito uno degli aggressori dire “non finisce qui”».

Vuole rivolgere un appello alle Istituzioni di Modena?

«Proteggere la sanità e chi ci lavora significa proteggere la parte sana della società. Facciamo tanti corsi di umanizzazione delle cure, bisogna però che la gente sia a sua volta più umana con noi. Se vacillano questi fondamentali è chiaro perché i sanitari scappano e si licenziano. Alle istituzioni chiediamo più strumenti per la nostra protezione».

Cosa chiedete per la vostra sicurezza?

«Il posto di polizia deve essere aperto tutto il giorno e va potenziato. Ieri abbiamo chiesto aiuto e l’agente, bravissimo, è potuto arrivare solo dopo essere intervenuto al bar dell’ospedale, dove pare ci fosse una persona che minacciava di spararsi. Intanto era arrivata in nostro soccorso la vigilanza privata. Ci servono strumenti da indossare per la chiamata dei soccorsi. Sento che si parla di assistenza legale per i sanitari picchiati. Sì, certo, serve anche quella, è importantissima».

Se la sente di dirci come valuta l’operato dell’Azienda ospedaliero-universitaria?

«Vi prego di non tagliare questo pezzo: vorrei dire grazie, e so di parlare a nome di tanti colleghi, alla nostra Azienda e ai suoi dirigenti. Ci hanno confortati, seguiti, sono stati vicinissimi agli infermieri pestati e ad ognuno di noi. Una presenza costante che ci ha aiutato a non sentirci soli».
© RIPRODUZIONE RISERVATA