Buoni pasto, la rivoluzione del 5% mette in crisi 300mila accordi
Emendamento al Ddl concorrenza fissa il tetto per le commissioni sui ticket. Il firmatario Silvio Giovine (Fratelli d’Italia): «Favorisce il mercato». Gli emettitori: «Così è insostenibile». Nati per aiutare i lavoratori nel pasto fuori casa, secondo le analisi sono per lo più usati per la spesa
MODENA. È stato recentemente approvato dalla Camera dei Deputati un emendamento al Ddl Concorrenza in materia di buoni pasto, che prevede l’introduzione di un tetto massimo alle commissioni, fissato al 5%.
Il firmatario Silvio Giovine (FdI)
«La misura approvata equipara, di fatto, le commissioni sui ticket tra il settore pubblico e quello privato. Promuovendo al contempo – spiega il firmatario dell’emendamento, Silvio Giovine (FdI) - uno sviluppo più concorrenziale del mercato. Si tratta di un provvedimento largamente atteso che risolve un problema segnalato da tempo da attività di ristorazione, aziende e datori di lavoro, le cui richieste erano rimaste inascoltate per anni».
La storia del sistema dei buoni pasto
Introdotto per la prima volta in Gran Bretagna nel 1954, per sopperire alla mancanza di mense nelle aziende, il sistema del buono pasto si è sviluppato insieme al settore terziario e alla nascita di tante imprese negli anni del dopoguerra. Poiché queste non avevano a disposizione dei locali da adibire a mensa, consegnavano titoli cartacei prepagati ai propri dipendenti per usufruire del pasto durante la pausa pranzo.
Arrivato anche in Italia nel corso degli anni Settanta il nuovo sistema si è fatto sempre più largo come servizio sostitutivo della mensa. Nel nostro paese esiste una disparità attuale tra il valore facciale medio dei buoni pasto erogati (6.75 euro nel 2023 secondo uno studio dell’Università Cattolica) e il reale costo della pausa pranzo fuori ufficio o fuori azienda. Alcune stime indicano che il mercato dei buoni pasto in Italia si attesta attorno a 4 miliardi di euro di valore, con una grande possibilità di ampliamento per il settore poiché sono 19 i milioni di consumatori potenziali.
I dati sull’utilizzo nel corso del 2023
Ad utilizzare i buoni pasto nel 2023 sono stati 3,5 milioni di lavoratori (lo dice sempre lo studio della Cattolica), il 20 per cento dei quali (700mila persone) fa parte del settore pubblico. Questo sistema, lo ricordiamo, è deducibile al 100% per le aziende ed esentasse. Ormai diffusi quasi esclusivamente in forma elettronica (una card dotata di microchip e banda magnetica leggibile da un Pos) i buoni pasto possono entrare a pieno titolo nell'offerta di un pacchetto di welfare aziendale orientato all'incremento della motivazione e della produttività dell’intera organizzazione. Sempre più spesso infatti questo strumento trova spazio negli accordi contrattuali integrativi firmati tra sindacati e aziende.
Quanti realmente lo usano per il pranzo?
Oggi, secondo le analisi, il 70% dei buoni pasto non viene però più utilizzato per la pausa pranzo ma per la spesa nei supermercati, a riprova del fatto che i voucher sono, di fatto, sempre di più una forma di sostegno al reddito dei lavoratori. Appare evidente che, specie in un periodo contraddistinto da un’elevata inflazione come quello che abbiamo vissuto recentemente, il valore medio dei buoni pasto non corrisponda ad una totale copertura delle spese per la pausa pranzo dei lavoratori.
Critiche le società emettitrici dei buoni pasto
L’emendamento approvato alla Camera prevede che per tutti i ticket emessi entro il primo settembre del prossimo anno si continueranno ad applicare le vecchie condizioni, ovvero quelle già concordate con gli esercenti prima dell’entrata in vigore dell’emendamento inserito nel Ddl. «Oltre alla fine del mercato libero dobbiamo constatare che la proposta dell’emendamento Giovine è del tutto insostenibile nei tempi e nei modi di attuazione – commenta Matteo Orlandini, presidente di Anseb, Associazione nazionale società emettitrici buoni pasto – Il nostro obiettivo ora è garantire la continuità degli accordi in essere e la tutela dei buoni pasto: senza queste condizioni, che richiedono una ragionevole riformulazione dell’emendamento originario, che verrà discusso alla Camera, per le società emettitrici sarà impossibile la gestione di oltre 300mila accordi, con immediate conseguenze sulla fruibilità dei buoni pasto».
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