Muzzarelli e il futuro degli ospedali modenesi: «Nessun accentramento, Pavullo e Mirandola cresceranno»
Il presidente della commissione regionale sui nodi della sanità: «Visite specialistiche? Inaccettabile dover rinunciare o aspettare per mesi»
MODENA. Dalla difficile situazione economica delle aziende sanitarie ai tempi di attesa, che come sanno bene i cittadini possono arrivare anche a diversi mesi per una visita specialistica. E poi i timori che con la nuova giunta regionale si vada verso un accentramento dei servizi sui poli ospedalieri più forti, mentre quelli periferici potrebbero rischiare di perdere altri “pezzi” dopo la chiusura dei punti nascite. E ancora il ruolo dei Cau, i Centri di assistenza urgenza, appena nati ma già a rischio, considerato che il nuovo assessore Fabi ha fatto notare che quelli che non funzionano potrebbero essere chiusi. Tanti temi, e soprattutto temi cruciali per il futuro della sanità modenese: ad affrontarli, oggi alle 9.45 agli Orti di San Faustino, sarà Gian Carlo Muzzarelli, ex sindaco di Modena, oggi consigliere regionale e presidente della Commissione Sanità dell’ente di viale Aldo Moro. Temi che oggi l’ex primo cittadino affronta in un’intervista in cui mette in fila priorità e problemi principali da affrontare, con l’obiettivo di difendere e valorizzare la sanità pubblica modenese ed emiliano-romagnola.
Muzzarelli, la sanità in Emilia Romagna e in particolare a Modena è sempre stata considerata un’eccellenza, ma negli ultimi anni la situazione è peggiorata, con aziende sanitarie dai conti in rosso e tempi di attesa infiniti per le visite specialistiche con il sistema pubblico: qual è la priorità per rilanciarla?
«Tutte le ricerche indipendenti dicono che la sanità emiliano-romagnola è la migliore in Italia. Questo non ci deve accontentare, perché sappiamo bene che deve essere migliorata per rispondere prima e meglio ai vecchi e nuovi bisogni della popolazione, ma va riconosciuto innanzitutto ai grandi professionisti che lavorano nella sanità pubblica, e poi anche alle istituzioni. Per prima cosa, servono risorse adeguate da Roma: tutti dicono che il sistema sanitario pubblico e integrato universalistico è una ricchezza, ma pochi hanno finanziato come merita un grande patrimonio collettivo del nostro Paese e della nostra Regione. Le linee di mandato del presidente della Regione Michele de Pascale sono chiare, mettono al centro la sanità per assicurare “assistenza continua, facile accessibilità, flessibilità, distribuzione capillare dei servizi”. Per serrare le fila e garantire un miglioramento anche nell’efficienza, il primo passo è rafforzare le strategie delle reti integrate: ospedaliere, socio-sanitarie, territoriali, tecnologiche…».
Uno dei nodi irrisolti è proprio quello delle liste di attesa, con cittadini che si trovano spesso a dover scegliere tra aspettare mesi per una visita specialistica con il pubblico, pagare una visita in privato, oppure semplicemente rinunciare ai controlli, con tutto quello che ne consegue per la propria salute. Cosa si può fare per invertire questa tendenza?
«Il nostro obiettivo è quello di migliorare l’accesso alle prestazioni di specialistica ambulatoriale. Servono soluzioni clinico-organizzative efficaci, finalizzate al rispetto dei tempi di attesa delle prestazioni, perché non è accettabile che i cittadini debbano rinunciare ai controlli e nemmeno aspettare troppo per una visita specialistica. Per questo, il primo passo da compiere è quello di rafforzare i percorsi ospedale-territorio.
La Regione Emilia Romagna ha avviato dallo scorso aprile un piano straordinario grazie a un investimento di oltre 50 milioni di euro di risorse regionali, con il quale sono state erogate oltre un milione e mezzo di prestazioni aggiuntive nel 2024. Bisogna quindi continuare su questa strada. E poi servono, non certo secondariamente, medici in numero sufficiente: per la formazione sono decisivi gli atenei, parte fondamentale di questo percorso».
Dopo l’insediamento della nuova giunta de Pascale in Regione e il primo confronto tra l’assessore alla Sanità Massimo Fabi e i consiglieri di maggioranza, si è diffusa una certa preoccupazione in vista di un possibile accentramento della sanità sugli ospedali principali delle varie province, con la conseguenza che le strutture periferiche come Mirandola o Pavullo sarebbero indebolite. Il timore, in particolare, è che dopo i punti nascita oggi siano a rischio anche le terapie intensive di questi ospedali. Condivide questa preoccupazione o la rete provinciale non è a rischio?
«Il programma regionale prevede il complessivo rafforzamento di tutto il sistema della sanità modenese, dall’Azienda Ospedaliero-Universitaria all’Ausl su tutto il territorio provinciale, dalla copertura degli investimenti programmati nel Pnrr ex articolo 20, alla soluzione delle tensioni della Casa della Comunità di Pavullo.
Quindi non solo non si abbandoneranno i territori (anzi, ci sarà una maggiore ramificazione: Ospedali di Comunità, Case comunità, Hospice…). Lavoreremo per il progetto sperimentale integrato socio-sanitario che si sta sviluppando per l’Appennino modenese, proseguiremo gli approfondimenti sul nuovo ospedale di Carpi e assicureremo il completo consolidamento dell’ospedale di Mirandola e degli altri ospedali del territorio. È un impegno della giunta che seguirò da consigliere regionale e da presidente della commissione competente».
Nel frattempo, a essere a rischio sono i neonati Cau: lo stesso assessore Fabi ha dichiarato che quelli che non funzionano verranno chiusi. Cosa ne pensa?
«I Cau sono nati come una sperimentazione per dare una risposta alle urgenze in prossimità e decongestionare i pronti soccorso da codici di minore gravità. A Modena e provincia funzionano, ma nell'ambito degli sviluppi futuri avranno bisogno di una maggiore integrazione con la medicina convenzionata e l’assistenza territoriale, al fine di rafforzare sempre più la presa in carico e la risposta all’utenza».
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