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L’analisi

Farmaci equivalenti, l’esperto: «Sono efficaci e si risparmia»


	Il docente Roberto Giampietri
Il docente Roberto Giampietri

Roberto Giampietri, docente di Economia e marketing dei medicinali alla facoltà di Farmacia dell’Università degli Studi di Milano, spiega cosa sono i cossidetti “generici”: «Medicinali a base di principi attivi con brevetto scaduto. In Italia c’è ancora diffidenza, in altri Paesi rappresentano fino al 70% del mercato»

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Roberto Giampietri è docente di Economia e marketing dei medicinali alla facoltà di Farmacia dell’Università degli Studi di Milano. Esperto di marketing, comunicazione e vendita per il settore farmaceutico, cosmetico e nutrizionale ha pubblicato oltre 300 articoli e saggi su tematiche di aggiornamento professionale nei diversi ambiti della gestione della farmacia collaborando con le più prestigiose testate di categoria. Tiene incontri e convegni di aggiornamento professionali per i titolari di farmacia e per tutte le figure professionali che operano nella filiera distributiva dei “beni per la salute e il benessere”. In questa intervista ci aiuta a fare chiarezza su uno dei temi che ancora oggi divide i consumatori di medicinali: i “farmaci equivalenti”, comunemente chiamati anche “generici”.

Professore, quale è il nome corretto di questi farmaci “equivalenti” o “generici”?

«Il termine corretto è “equivalente” perché “generico” in italiano ha un’accezzione in qualche modo negativa che non è propria di questi farmaci. La parola generico riferita a questi farmaci è dovuta ad un problema di errata traduzione dall’inglese e purtroppo questo fatto, unito ad una poco curata comunicazione, ha contribuito negli anni a non far diffondere l’utilizzo di questi farmaci come invece si meriterebbero, permettendo un risparmio sia ai cittadini che al Sistema sanitario nazionale importantissimo che poi spiegheremo meglio. Oggi però si sono fatti passi avanti, le leggi a tutela dei farmaci equivalenti hanno offerto una importante possibilità di maggiore diffusione tra i pazienti così come la comunicazione è migliorata, grazie all’aumento di formazione, soprattutto universitaria, di medici e farmacisti. Ma in ogni caso si deve ancora migliore. La diffusione in Europa degli equivalenti è di gran lunga superiore alla nostra. Dobbiamo migliorare: si tratta di un cambiamento soprattutto culturale».

Nella pratica cosa è un “farmaco equivalente”?

«Quando parliamo di farmaci equivalenti si intendono quei medicinali a base di principi attivi con brevetto scaduto. Per essere più precisi: è noto che in Italia il brevetto del principio attivo di un farmaco garantisce la proprietà intellettuale a chi lo ha formulato per 20 anni, con possibilità di proroga fino a 25. Dopo questo arco di tempo di fatto il brevetto del principio attivo viene liberalizzato e qualsiasi produttore di farmaci può usare quel principio attivo per produrre a sua volta dei farmaci sovrapponibili a quelli che per primi erano stati messi sul mercato con quel principio attivo che chiamiamo “originator”. Ovviamente, se il farmaco introdotto sul mercato dalla casa farmaceutica originator è rimasto per 20- 25 anni, significa che quel principio attivo ha avuto massime garanzie di efficacia che continua a mantenere anche se il brevetto è scaduto. Semplicemente si è smesso di difendere la sua originalità e la sua scoperta. In Italia però, prima che venissero introdotte leggi al riguardo, avveniva che l'originator per avere più forza di mercato poteva decidere di dare in licenza il suo principio attivo a chi desiderava, poi però, per fortuna le cose sono cambiate, i bevetti dopo 20 -25 anni scadono e qualsiasi casa farmaceutica può decidere di produrre quel farmaco con quel principio attivo: ecco i farmaci equivalenti».

Per intenderci quale è la differenza con gli originator?

«Gli equivalenti sono farmaci prodotti ex novo, senza “coperture brevettuali”, se così possiamo dire, che però hanno lo stesso principio attivo e la stessa forma farmaceutica del farmaco originator, come abbiamo specificato anche sopra. Il farmaco quivalente è stato introdotto con una normativa nel 1996. Da allora, negli anni molte cose sono cambiate e si sono fatti passi avanti. Se per un lungo periodo, dopo l’introduzione del farmaco equivalente, era necessario utilizzare la stessa formula farmaceutica oltre al principio attivo, oggi molti prodotti equivalenti hanno usato una tecnica di produzione farmaceutica diversa dall’originator, spesso migliorandola , senza però alterarne in alcun modo il principio attivo. L’importante è che se l'originator veniva assunto per bocca, per esempio, anche l’equivalente deve avere le stesse caratteristiche di assunzione».

Ma perché gli italiani hanno sempre riposto poca fiducia nel farmaco equivalente?

«Nonostante il nostro Stato abbia favorito la diffusione dei farmaci equivalenti, i dati effettivamente dimostrano la diffidenza dei cittadini in questi prodotti, contrariamente a quanto è successo nella maggior parte dei Paesi europei dove invece gli equivalenti hanno registrato un’ottima diffusione. Le ultime ricerche fatte in Italia nel 2024 dimostrano che un italiano su tre continua ad avere dei dubbi sull’efficacia degli equivalenti, in particolar modo su quella che è la loro equivalenza terapeutica. Parallelamente però le stesse ricerche evidenziano che, chi opta per gli equivalenti, è più attento al fatto che questo tipo di farmaco permetta dei risparmi sia per il paziente che per il Sistema sanitario nazionale».

Cioè?

«Mi spiego: per legge il medicinale equivalente può entrare sul mercato dopo che il brevetto è scaduto ma con un prezzo che deve essere inferiore almeno al 20% dell'originator. Questo è facilmente applicabile se si pensa che, dopo vent'anni sul mercato dell’originator, la concorrenza che ha scatenato il medicinale ha fatto sì che il prezzo di un equivalente che oggi entra sul mercato abbia un prezzo del 50-60% in meno dell’originator. Di conseguenza anche i prezzi dell'originator si siano abbassati».

Nello specifico quali sono state le politiche messe in campo dal Ministero della sanità per la diffusione degli equivalenti?

«Per convincere i cittadini, ma soprattutto i farmacisti e i sanitari in generale all’utilizzo di questi farmaci, il Ministero ha introdotto una formula di rimborso sul principio attivo contenuto in un farmaco che ha il prezzo più basso e non su tutti indiscriminatamente. Inoltre, sempre il Ministero, ha fatto sì che il medico non potesse più prescrivere il nome del brand di un farmaco, bensì il suo principio attivo. Regola tutt’ora valida. E se proprio il paziente si rifiuta la prescrizione del generico o il medico, per ragioni specifiche e giustificate di farmacologia, ritiene che debba essere prescritto il farmaco originator, deve obbligatoriamente scrivere sulla ricetta la dicitura “Sic volo”(dal latino “così desidero che venga fatto”). Infine, sempre il ministero della Salute, per incentivare l'uso dei farmaci equivalenti, ha obbligato i farmacisti ad informare il cittadino che deve acquistare un farmaco della disponibilità di quelli equivalenti di prezzo inferiore».

Nonostante i cittadini continuino ad avere una certa diffidenza grazie alle leggi e al lavoro di sanitari e farmacisti oggi gli equivalenti occupano comunque una buona fetta di mercato rispetto alla globalità dei farmaci venduti.

«Beh sì, certamente, non ai livelli europei, come già abbiamo detto ma copmunque i numeri sono importanti come di grande importanza è il risparmio dei cittadini e del Sistema sanitario nazionale che solo nel 2024 è stato di oltre 600 mila euro che si vanno a sommare a quelli risparmiati dal 2012 ad oggi raggiungendo la cifra di 6,5 miliari. Questo, va ribadito, grazie al grande lavoro fatto dai medici ma soprattutto dai farmacisti che con competenza e grande professionalità, si sono impegnati nella divulgazione della cultura dell’equivalente. Sappiamo bene quanto sia difficile cambiare la mentalità delle persone».

Ci tolga una curiosità, probabilmente banale? Ma perché i farmaci originator hanno un costo così alto rispetto agli equivalenti?

«Beh, questioni di brand. Pensiamo ad un paio di blue jeans, per esempio. Intanto gli stessi jeans cambiano di prezzo se acquistati in uno sperduto negozio di periferia o in uno store in centro storico nelle vie dello shopping di una città, inoltre, al netto del design particolare ed originale, ma a parità di tessuto (quindi materia prima), ovviamente, se il pantalone è prodotto da uno stilista famoso ha un costo nettamente superiore rispetto a quello non brandizzato. Per i farmaci, vale un po’ lo stesso principio. Peraltro per i farmaci non c'è bisogno di fare studi giganteschi per dimostrarne l’efficacia terapeutica. I prezzi si abbassano perché negli anni, più il farmaco viene prodotto più i costi dei principi attivi si abbassano. Quindi è normale che il costo dell’equivalente parta da un prezzo molto più competitivo rispetto all’originator. l'Europa ce l'aveva già insegnato. Oggi moltissimi originator hanno lo stesso prezzo degli equivalenti: direi che è un ottim o risultato».

In italia chi regola l'introduzione sul mercato dei farmaci equivalenti?

«L’Aifa (Agenzia italiana del farmaco), l'organismo del Sistema sanitario nazionale che decide, su richiesta di un produttore di farmaci, l'emissione di un prodotto sul mercato dopo averne attentamente verificato il rispetto di tutte le norme vigenti».

Una volta scaduti i brevetti dei farmaci originator cosa deve fare una casa farmaceutica per mettere in commercio un farmaco equivalente?

«Deve dimostrare semplicemente la bioequivalenza farmaceutica ottenuta dopo una fase di somministrazione ad un numero prestabilito di pazienti, ovvero la totale sovrapponibilità per principio attivo e efficacia al farmaco originator».

Dalla loro introduzione sul mercato tante sono state le bufale che sono circolate sugli equivalenti.

«Sì, per esempio che il principio attivo degli equivalenti poiché proveniva dall’India non era di qualità quando l’India è uno dei Paesi al mondo con maggiore produzione di priuncipi attivi per i farmaci. Oggi però le cose stanno cambiando: sia nelle università che negli ordini professionali si sono di gran lunga intensificati i corsi sui medicinali equivalenti. Nonostante questo, come abbiamo già sottolineato, i numeri rimangono bassi rispetto agli altri paesi europei. Del resto siamo partiti con la diffusione di questi prodotti 15 anni dopo e da buoni italiani, siamo per natura molto legati alla cultura dei brand. Lo si vede anche nella moda. In qualche modo un prodotto di marca ci infonde più sicurezza e garanzia di qualità. Nel caso dei farmaci molte persone hanno dichiarato che temono il farmaco equivalente perché hanno la sensazione che gli venga cambiata la terapia. Non è così. Ma voglio chiudere con un dato positivo. Oggi 3 persone su quattro non contestano più l'efficacia dell’equivalente, anche se magari nutrono ancora qualche perplessità. Qualche passo avanti è stato fatto, quindi la direzione è quella giusta e se oggi gli equivalenti ricoprono circa il 30% della vendita dei farmaci dobbiamo darci l’obiettivo di arrivare intorno al 40-50% in un tempo breve. Nei paesi nordici hanno già raggiunto il 70-80%».