Gazzetta di Modena

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L’intervista

Luca Marchini svela come diventare chef: «La passione è fondamentale, ma da sola non basta»

di Paola Ducci

	Lo chef Luca Marchini in cucina con la brigata nel 2023
Lo chef Luca Marchini in cucina con la brigata nel 2023

La ricetta è fatta di tanti ingredienti: «Servono creatività e anche capacità manageriali per catturare il pubblico anche al di fuori del ristorante»

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MODENA. Tanti sono i ruoli che compongono il mondo della ristorazione ma senza dubbio la figura più di spicco e famosa ormai in tutto il globo è quella dello chef. Ma qual è l’origine di questo vocabolo? Ridotto dalla perifrasi francese “chef de cuisine”, l’origine del termine chef è latina e proviene da “caput”, parola usata per indicare “il capo” o “comandante” di qualcosa, inteso anche come “padrone” o “direttore”, fatto questo che, ad oggi, crea spesso qualche confusione. Il titolo di chef compare comunque per la prima volta nella “haute cuisine” francese del XX secolo e oggi, come ci conferma Luca Marchini, chef del ristorante modenese “L’Erba del Re” e di altre importanti realtà ristorative del territorio, chef è colui che «ha l’assoluta responsabilità della cucina, letteralmente “il capo cucina”. Chef è anche colui che in qualche modo riesce a catturare l’attenzione di una vasta fetta di pubblico, anche ben oltre le quattro mura del proprio ristorante, grazie ad una sorta di personale identità, anche e soprattutto di carattere creativo, che, nel tempo, è riuscito a ritagliarsi».

Marchini, ci tolga una curiosità: ma in pratica come si diventa chef? C’è una scuola o un esame da sostenere per raggiungere questo titolo?

«Assolutamente no, che sappia io. Non c’è un riconoscimento ufficiale di questo titolo. Poi nella pratica possiamo dire che riconoscersi effettivamente uno chef non è assolutamente qualcosa di scontato. Dobbiamo distinguere. Per essere chef, dal punto di vista pratico e quindi essere un buon capo cucina, se vogliamo ricondurci al significato letterale, non è assolutamente facile. Serve esperienza, una grande dote organizzativa con una visione di medio e lungo periodo di tipo imprenditoriale, ma soprattutto occorre una grande capacità di gestire un gruppo di lavoro formato da persone con varie mansioni. In cucina, senza una squadra affiatata si fa davvero poco. Poi, per essere chef in senso lato, ed essere riconosciuti, talvolta addirittura come una sorta di star (ne abbiamo molti esempi), serve anche, oltre alla passione per questo lavoro, una buona dose di creatività, spirito di iniziativa e magari trovarsi nei posti giusti nel momento giusto. Ma credetemi, tutto questo non basta, servono anche le caratteristiche che ho descritto altrimenti, sì, si può avere magari la grande visibilità del momento, ma poi bisogna essere in grado di saperla mantenere e senza una visione ben chiara del futuro si va poco lontano».

Quindi, quando una persona può in qualche modo essere definita chef?

«Domanda difficile, nella mia visione quando dimostra a pieno merito la capacità di interpretare e di mettere una personalizzazione nei piatti che prepara, così come nella gestione di una cucina o addirittura di una realtà ristorativa. A quel punto la sua personalizzazione risulta tale tale che in automatico gli vanno riconoscimenti oggettivi, come possono essere le Stelle Michelin, la notorietà e molto altro».

Lei prima ha sottolineato che la passione non basta nel suo mestiere.

«Esatto e di questo ne sono certo. La passione è fondamentale, soprattutto all’inizio della propria carriera perché è la miccia che accende l’entusiasmo per buttarsi in una professione come questa, dove, non va dimenticato, che è anche di grande sacrificio, soprattutto per i ragazzi e le ragazze più giovani che lavorano quando i loro coetanei sono a divertirsi, per esempio. Ma quando dopo un anno, due anni, cinque anni, dieci anni la passione si spegne cosa ti spinge ad andare avanti se non la soddisfazione dei riconoscimenti professionali, la bellezza di aver creato una squadra e una realtà imprenditoriale e avere ottenuto una congrua remunerazione economica? Ecco tutto questo è possibile se hai messo amore nel tuo lavoro e se hai avuto una visione sostenibile del futuro. Posso portare la mia esperienza dopo ormai quasi 25 anni di attività e diverse realtà avviate».

Se si guarda alla spalle può dire che c'è stato qualcosa che le è stato davvero utile nella sua professione?

«Sicuramente i miei studi in economia e commercio prima di tuffarmi in cucina; poi la mia voglia di fare mixata a un po’ di sana incoscienza. Ora io gestisco una grande e bella squadra di lavoro, con giovani bravissimi, capacissimi e molto appassionati che mi piace incoraggiare, ma nella direzione che ho descritto sopra. La passione è fondamentale, ma non basta, ripeto, serve la voglia di fare e saper guardare alla sostenibilità futura».