Quel vignolese che sfidò Spasskij: «Fu lui a chiedermi la patta...»
Il maestro di scacchi Carlo Alberto Cavazzoni e la partita del 1984 all’Hotel Fini, quando il campione russo, da poco scomparso, venne a Modena per una simultanea
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IGNOLA. «Fu lui, Spasskij, a chiedermi il pareggio».Così Carlo Alberto Cavazzoni ricorda la partita avvenuta il 5 gennaio 1984 all’Hotel Fini di Modena contro Boris Spasskij, campione mondiale russo di scacchi morto il 27 febbraio, all’età di 88 anni. «Spasskij vide una situazione molto complicata per entrambi e, probabilmente, voleva concentrarsi su altre “battaglie”». Attualmente Cavazzoni è Maestro della Federazione Scacchistica Italiana. È stato premiato nel 2009 come istruttore dell’anno del Nord Italia.
Qual è il ricordo più vivo dell’incontro con il campione russo Boris Spasskij?
«Quando me lo sono trovato davanti ero emozionato. Vidi questo signore molto elegante, dal sorriso facile, affabile e simpatico. Avevo già pensato una strategia, ovvero giocare d’attacco, per non essere stritolato come un pitone. Fu una partita audace».
Le sue emozioni hanno influito sulla concentrazione?
«Non molto. Anche se all’epoca ero agli inizi, e non un professionista, giocavo già discretamente. Ero abituato a non guardare negli occhi il mio avversario durante la partita. Se avessi scambiato con lui degli sguardi, forse mi sarei intimorito. Lo guardavo poche volte, osservavo la scacchiera, la matematica, i pezzi. In altre occasioni, mi mettevo degli occhiali da sole per evitare “il magnetismo” dell’avversario. Dopo la partita, però, non riuscii a dormire per la felicità».
Cosa temeva e la affascinava maggiormente di Spasskij?
«La sua eccellente preparazione e fantasia. Studiavo i libri e le riviste che parlavano delle sue mosse ai mondiali. Nel 1972 i telegiornali iniziavano con i risultati della partita di scacchi tra Spasskij e Fischer. Io sono un figlio di quel tempo. Lui era un ex campione del mondo, uno dei migliori ed anche io sognavo di diventarlo».
Come le appariva Spasskij?
«Percepivo dai suoi occhi una fierezza intellettuale. Era cortese, fine nel modo di fare. Sembrava a suo agio. Giocò una simultanea contro 13 modenesi e 12 reggiani. Il divario tra lui e noi era enorme. In una simultanea si fanno diversi chilometri di camminata, perché bisogna cambiare postazioni. È una fatica fisica, oltre che mentale».
È stato l’unico incontro con lui?
«Nel 1992 è tornato a Reggio Emilia, andai lì con un mio allievo Gianluca Ruggeri, ma non giocammo».
Confrontandosi con un campione mondiale, ha appreso qualcosa che le è stato utile per gli anni a venire?
«Ho conosciuto anche altri importanti giocatori come Gary Kasparov ed Anatolij Evgen'evi Karpov: sono i miei miti, ho sempre cercato di seguire le loro orme».
Lei aveva il sogno di diventare campione del mondo, ma questo non è accaduto. Gli scacchi le hanno permesso, però, di “insegnare le regole per meglio muoversi in quel gioco ancora più complesso che si chiama la Vita ad oltre trentamila bambini e ragazzi”. Quale è, quindi, il ruolo educativo degli scacchi?
«Il gioco degli scacchi può essere molto istruttivo: il pedone può diventare regina, così come, nella vita i più deboli si possono rivelare i più forti. Ai bambini dico: “Tutti siamo importanti”. Negli scacchi e nella vita si vince come squadra, non da soli. Bisogna sacrificare una pedina, anche importante, per un possibile ed incerto vantaggio futuro, sapere amare gli errori ed elogiare la sconfitta».