Il sogno infranto all’ex CoopLegno, l'appello di una lavoratrice: «Ora servono tutele per i dipendenti di Cores»
Valentina Prete insieme ai colleghi aveva dato vita nel 2017 alla cooperativa per salvare i posti di lavoro
CASTELVETRO. «È successo tutto troppo in fretta. In meno di un mese ci hanno messo alle strette, lo scioglimento dell’azienda era l’unica soluzione. Io ero alla Cores da 21 anni». Valentina Prete è una delle 65 persone occupate nella Cores Italia Soc. Coop di Castelvetro - l’ex CoopLegno – la cui assemblea dei soci ha deciso lo scioglimento della società. L’annuncio è arrivato nei giorni scorsi dalla Cgil, per via «dell’attuale situazione di crisi di liquidità che ha portato la cooperativa a consumare progressivamente il capitale sociale».
Come noto, la “Cores Italia Soc. Coop” è l’erede della storica CoopLegno, nata a Spilamberto tra le due guerre e poi traslocata negli attuali stabilimenti di Sant’Eusebio di Castelvetro a metà degli Anni ’70 dove fino a pochi giorni fa ancora produceva porte di qualità con i suoi soci-lavoratori. Era il 2017, infatti, quando raccontavamo che «all’ex CoopLegno, i 105 lavoratori hanno deciso di acquistare loro stessi l’azienda dando vita alla cooperativa Cores Italia». Una svolta, quella, che aveva permesso di salvare i posti di lavoro, ma oggi l’assemblea dei soci ha annunciato l’imminente scioglimento della cooperativa.
Prete, come è stato vivere questa situazione sulla propria pelle?
«Devastante. La batosta è arrivata dopo anni a tratti angoscianti. Era un continuo oscillare tra cicli di grande produzione e periodi di forte calo degli ordini. Ad esempio, quando a Leroy Merlin hanno proclamato lo sciopero, la crisi si è inevitabilmente riversata su di noi, che siamo loro fornitori da anni. Eravamo troppo legati all’andamento dei clienti».
Vi aspettavate questo epilogo?
«Era nell’aria, ma è successo tutto troppo in fretta. A novembre 2024 ci hanno parlato di un calo, ma non immaginavamo così drastico. Abbiamo chiesto più volte di convocare l’assemblea dei soci al Cda e al presidente, ma è stata sempre negata. A gennaio, improvvisamente, ci hanno messo alle strette, convocando un’assemblea a decisioni già prese. Eravamo consapevoli della crisi, ma un disastro così rapido fatichiamo a spiegarcelo».
C’erano altre opzioni?
«Sì, quella della ricapitalizzazione. Ci hanno chiesto 10mila euro a testa, per la maggior parte di noi è una cifra esagerata. Non avendo più capitale sociale, quindi, la cooperativa è venuta meno. Di ordini ne avevamo ancora, ma senza liquidità non abbiamo potuto produrre, e non c’era nessun investitore».
Domani ci sarà il secondo incontro di un tavolo che coinvolge il sindaco di Castelvetro, Federico Poppi, la Provincia di Modena, l’assessorato regionale per il lavoro, le organizzazioni sindacali, l’impresa con la direzione aziendale affiancata dalla Lega delle cooperative di Modena. Cosa chiedete?
«Un aiuto per essere ricollocati nel mercato del lavoro. La maggior parte dei soci hanno tra i 50 ai 65 anni, come faranno a trovare un nuovo lavoro? Con i colleghi ci sentiamo quotidianamente, spero che si trovi una soluzione prima possibile. L’opzione di trovare un investitore che salvi l’impresa credo che sia abbastanza remota. Anche se è ciò che auspico, perché a me questo lavoro, nonostante le difficoltà, lo amavo davvero».
Torniamo al 2017. L’azienda è sull’orlo della chiusura, lei e altri 104 lavoratori la salvate acquistandone le quote e diventando soci. La liquidazione di oggi ha il sapore di un sogno infranto?
«È una rinascita incompiuta: noi ci credevamo tanto, volevamo fare prosperare questa azienda. Non avevamo esitato a conferire circa 2000 euro a testa, ma siamo resistiti 8 anni, con quel timore velato sempre presente, ma mai al punto di farci presagire una sorte come questa».
Come lo vede il futuro?
«Con un po’ di angoscia e un po’ di speranza. Io ho 39 anni, sono separata e ho una figlia piccola. Devo e voglio lavorare. Bisogna avere grinta e forza per non lasciarsi abbattere: il futuro ora è incerto, ma la speranza non muore mai».