Un malore si porta via Francesco Benozzo: prof, poeta e bardo rivoluzionario gentile
Morto a 56 anni nella sua casa a Ligorzano di Serramazzoni, aveva due figli. Professore presso l’Università di Bologna, specializzato in filologia e linguistica romanza e celtica, ai tempi della pandemia da Covid fu fiero oppositore alle regole del green pass e pertanto sospeso dall’attività
SERRAMAZZONI. Francesco Benozzo se n’è andato nella notte tra sabato 22 e domenica 23 marzo. Viveva a Ligorzano di Serramazzoni, sull’Appennino di cui era cantore, aveva 56 anni e due figli adolescenti.
Il profilo del prof Benozzo
Professore presso l’Università di Bologna specializzato in filologia e linguistica romanza e celtica, aveva all’attivo 800 pubblicazioni sulle radici preistoriche e sciamaniche della cultura europea, sull’origine del linguaggio e sulla natura della lingua poetica. Poeta a sua volta e bardo, la sua discografia di arpa celtica conta 16 album. Si è sempre dichiarato radicalmente anarchico e anti-autoritario fino alla sua ultima opera, “Piccolo manuale di diserzione quotidiana”, un libro autobiografico sulla diserzione come stile di vita.
L’opposizione al gree pass
Ai tempi della pandemia da Covid fu fiero oppositore alle regole del green pass e pertanto sospeso dall’attività di docente universitario. Fu una scelta vissuta non senza tormenti, ma con gli studenti sempre schierati al suo fianco. Strenuo sostenitore della libertà e di una visione dell’uomo naturalmente innocente nella sua condizione primigenia, per tutta la vita ha cercato di ritrovarla. Lo scorso anno aveva lanciato “Sylvatica”, in collaborazione con la cantante e danzatrice Barbara Zanoni, nelle sue parole «un progetto poetico-musicale sul canto sciamanico, studiato in chiave antropologica ed etnografica e poi riportato alla sua natura selvaggia, lontano dalle derive new age».
Il rapporto con la sua terra
Rivoluzionario gentile, è stato un animale selvatico, che come tale si poteva scorgere in un luogo o in un altro solo per un attimo. A volte le sue “ambages” – ossia gli andirivieni, le erranze dei cavalieri arturiani che tanto aveva studiato come filologo romanzo – lo conducevano in trattoria davanti a una bella fetta di zuppa inglese, altre volte sulle strade di quell’Appennino che definiva «un’Irlanda remota e malinconica». Là dove i suoi due mondi si incontrano e dove forse sarà sempre, libero, eppure vegliato da Merlino.
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