La nostra iniziativa
Duemila persone allo Storchi per Invivavoce: ansia e paure raccontate dai giovani
di Ginevramaria Bianchi
◗
La platea del teatro Storchi, a fianco una delle performance di Invivavoce
A partire dalla mattina tre rappresentazioni sul palco, con gli studenti protagonisti, per la seconda edizione del progetto realizzato dalla Gazzetta di Modena in collaborazione con Csi e con il patrocinio del Comune
3 MINUTI DI LETTURA
MODENA. Il riflesso di un volto stanco, teso, intrappolato in uno specchio, ha dato il via a qualcosa che è stato molto più di uno spettacolo: è stato un grido, un abbraccio, una confessione. Non c’è altro modo di dirlo se non che è stato “Invivavoce”, il progetto ideato dalla Gazzetta di Modena con la collaborazione del Csi e con il patrocinio del Comune di Modena.
Tris allo Storchi
Quel piccolo specchio quadrato, tenuto tra le mani come si tiene una verità fragile, si è moltiplicato di fronte agli occhi del pubblico del teatro Storchi di Modena: prima davanti a oltre mille studenti durante due repliche mattutine dedicate alle scuole, e poi davanti ad altre ottocento persone che hanno partecipato alla replica serale aperta alla cittadinanza. In tutto: quasi duemila anime in un solo giorno, un flusso di ascolto, empatia e solidarietà, che ha attraversato ogni angolo dello Storchi, e che ha potuto riflettersi su quegli specchi una volta che il sipario si è aperto, ritrovandosi di fronte al disagio di una generazione. Di un’intera generazione.
L'iniziativa
Quello specchio è solo uno degli elementi che hanno composto la seconda edizione di “Invivavoce, Echi d’ansia del nostro tempo” che, come quella dell’anno precedente, si era ripromessa di mettere in scena ciò che non si vede, ma che si sente urlare dentro: la fragilità, l’invisibilità, il peso che i giovani portano nel silenzio. Quello dell’ansia. Ed è stato fatto con una potenza scenica ed emotiva che ha rapito, che ha tenuto la sala sospesa, vibrante. Complice. Sul palco, volti modenesi, giovani e giovanissimi, che hanno deciso di trasformare il loro vissuto in espressione, danzando, cantando, recitando la paura, le aspettative, l’insoddisfazione che stanno dietro allo stato emotivo dell’ansia.
I protagonisti/1
A rompere il ghiaccio è stata la scuola di danza Backstage di Formigine, mentre subito dopo Irene Pignatti, con “Ho paura di morire”, ha sospeso la platea silente. La scuola d’arte Talentho ha portato il disagio in forma viva, e la performance di Equilibra ha spinto gli spettatori a restare in bilico con le danzatrici. Il noto duo Opposite e la scuola LaCapriola hanno fatto danzare la vulnerabilità, Cecilia Preste ha sussurrato Tenco in una “Un giorno dopo l’altro”, mentre le scuole Tersicore di Finale e Ars Movendi di Baggiovara hanno acceso il palco con corpi che parlavano più delle parole.
Ma a raccontare Invivavoce non è stato solo il palco. È stato anche il pubblico. Una marea silenziosa e attenta, fatta di sguardi giovani che si riflettevano in quelli degli adulti, come se, per una volta, il mondo si fosse fermato ad ascoltare davvero. C’erano studenti con le mani incrociate sulle ginocchia, il viso chino, gli occhi pieni. Insegnanti seduti sul bordo della sedia, genitori che si sono voltati a guardare i propri figli con una nuova lente, quella dell’empatia. C’erano sospiri, silenzi lunghi, respiri trattenuti. Perché ogni performance aveva un’eco nella platea.
I protagonisti/2
L’intervento della dottoressa Francesca Scalise ha riportato a terra la riflessione sul tema, insieme al contributo di Jacopo, Laura, Sabrina, Esmeralda, Lea, Francesco, Gerardo, ed Alessia: otto ragazzi modenesi che hanno fatto da filo conduttore durante tra tutte le performance. E poi è stata “Ti vorrei sollevare”, cantata da Giorgia Amati, insieme al brano “La cosa più bella del mondo” di Cristicchi, interpretato da Massimo Pasqualin, a ricordare che la bellezza sta anche nel dolore condiviso.
Perché dare voce significa anche lasciare spazio al silenzio, permettere all’altro di raccontarsi senza dover spiegare. Significa non solo dire, ma essere ascoltati. Significa smettere di sminuire e cominciare a riconoscere. È questa la forza di Invivavoce: non l’urlo, ma la possibilità di esistere. E forse, è proprio per questo che funziona, che attira, che scuote. Perché non si limita a rappresentare un disagio: lo accoglie, lo trasforma, lo illumina. Come sempre, Invivavoce.