Gazzetta di Modena

Modena

Il caso giudiziario

Vuole lo stipendio, lui la minaccia: scatta la denuncia per caporalato e violenza

di Stefania Piscitello

	A sinistra la caserma dei Carabinieri, a destra l’avvocato Malaguti
A sinistra la caserma dei Carabinieri, a destra l’avvocato Malaguti

Una barista 45enne ha denunciato la legale rappresentate della società e il suo amministratore: le accuse sono molto pesanti

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CONCORDIA. A novembre ha cominciato a lavorare in un bar di Concordia ma, dopo i primi mesi, sono cominciati i problemi. Buste paga non consegnate, pagamenti parziali “a giornata” per il mese di marzo – in cui non sarebbero stati corrisposti tutti i soldi dovuti – e, per gennaio, una parte di stipendio consegnato in contanti: il resto manca ancora all’appello. Una barista 45enne ha denunciato la legale rappresentate della società e il suo amministratore: e le accuse sono molto pesanti. Si parla di caporalato e di violenza privata.

Cosa è successo
Quando ha chiesto quanto le spettava, il suo datore di lavoro le avrebbe detto che, se avesse insistito, avrebbe anche potuto «restare a casa». Sarebbe emersa una sorta di collaborazione fra l’amministratrice della società e uno dei soci che avrebbero cominciato a rimpallarsi le responsabilità. La 45enne ha deciso di rivolgersi al suo avvocato di fiducia, Saverio Malaguti. La denuncia è stata presentata un paio di settimane fa ai carabinieri, e occorrerà ora chiarire i contorni della vicenda.
Le parole del legale
«Dopo la presentazione, in proprio, della denuncia querela ad opera della mia attuale assistita – così l’avvocato Malaguti – , ho dovuto prendere atto delle numerose registrazioni eseguite dalla stessa e da altre sue colleghe e dalle quali emerge chiaramente un intento fraudolento ed ingannatore ad opera del datore di lavoro, rappresentato, nel caso di specie, da una sorta di “collaborazione” fra l’amministratrice della società datrice di lavoro ed uno dei soci: in particolare il personale veniva ingaggiato da uno dei soci per poi essere sottoposto alla direzione di persona diversa, ovvero dell’amministratrice, i quali poi, in un momento successivo, si rimpallavano le responsabilità per i mancati pagamenti degli stipendi. Fino a giungere all’epilogo per il quale, quando le lavoratrici insistevano per essere retribuite, da parte del datore di lavoro giungevano minacce in forza delle quali, laddove le richieste si fossero protratte, i dipendenti potevano anche “restare a casa”, ovviamente dimenticandosi degli stipendi insoluti. Si tratta di una vera e propria attività criminosa che va assolutamente interdetta, oltre che punita, in quanto lesiva, oltre che della patrimonialità dei lavoratori, anche e soprattutto della loro dignità umana».l