Gazzetta di Modena

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L’intervista

Il vescovo di Modena Erio Castellucci ricorda Papa Francesco: «Da lui mai atteggiamenti ostentati. Mi disse “sarai un vescovo felice”»

di Paolo Seghedoni

	L'abbraccio tra il vescovo Erio Castellucci e papa Francesco
L'abbraccio tra il vescovo Erio Castellucci e papa Francesco

«Gli erano stati raccomandati due mesi di convalescenza molto rigorosa, invece ha voluto da subito tornare in mezzo alla gente. Ha aperto delle strade nel mondo»

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MODENA. L’arcivescovo di Modena-Nonantola e vescovo di Carpi, don Erio Castellucci, ha vissuto tutto il suo ministero episcopale sotto il pontificato di Francesco Bergoglio. Ormai dieci anni fa, il 29 giugno 2015, riceve il pallio, il simbolo degli arcivescovi, proprio da papa Francesco prima ancora di essere ordinato vescovo. Parte da quell’occasione, dalle parole di quel giorno, il ricordo di monsignor Castellucci.

Don Erio Castellucci, cosa disse al Papa e cosa le disse, invece, Francesco in quell’occasione?

«Ricordo bene cosa gli dissi… – evidenzia don Erio – “Santità, ero un parroco felice” e lui mi rispose “Coraggio, coraggio, sarai un vescovo felice”».

Quale è stato il suo primo pensiero quando ha appreso la tragica notizia della morte del Papa, questa mattina (ieri, ndr)?

«Appena ho sentito la notizia alla radio ho capito perché ieri (il giorno di Pasqua, ndr) ha voluto fare il giro di piazza San Pietro. È un saluto che sicuramente ha voluto fare a tutti i costi. Quando è stato dimesso dall’ospedale gli erano stati raccomandati due mesi di convalescenza molto rigorosa, invece ha voluto da subito tornare in mezzo alla gente. E poi il sentimento che ho provato è quello della gratitudine per questi dodici anni di pontificato, anni incisivi per la Chiesa e anche per il mondo. Ci sono tante testimonianze di persone con visioni lontane dalla Chiesa, che in queste ore stanno esprimendo il loro cordoglio. L’umanità di Francesco, il suo stile, l’essere alfiere della pace, paladino dei poveri ha conquistato molti. Infine i ricordi delle volte in cui ci siamo visti, due o tre occasioni all’anno in cui ho sempre pensato di avere di fronte una persona normale, autorevole certo, ma la sensazione di normalità è sempre stata forte».

Nella sua esperienza, quale è l’eredità principale che ci lascia papa Bergoglio?

«Francesco ha aperto delle strade. Non è stato rivoluzionario nella dottrina, ma ha rimesso in moto uno stile evangelico dell’accompagnamento delle persone. Mi ha sempre colpito quando diceva che occorre accompagnare tutti, ciascuno con la sua vita complicata, che il cammino va fatto tutti insieme, ciascuno col suo passo. Testimoniando il Vangelo senza sconti, ma con questo stile. In questi anni ho cercato di vivere il mio servizio all’insegna del suo pontificato. Con il senso delle proporzioni, direi che tante risposte che mi hanno guidato le devo a lui».

È stato un Papa fuori dagli schemi o i suoi schemi, lui che era argentino, erano semplicemente diversi dai nostri?

«Noi europei siamo figli di Platone, quindi prima si delinea la teoria e poi la si mette in pratica, lui ragionava diversamente. Il suo dire che la realtà è superiore all’idea ha sovvertito lo schema. Partire dalla realtà è nel sangue dei latino americani».

Parlava del suo stile, della sua capacità di accompagnare tutti. Cos’altro rimarrà di papa Francesco nella Chiesa e nel nostro mondo?

«Spero e penso che resterà la cifra della quotidianità. Indossava scarpe normali, portava personalmente la borsa in aereo, risiede a Santa Marta, va dall’ottico, paga il conto in albergo… Non atteggiamenti ostentati, ma del tutto normali. Un piccolo ricordo personale: nel corso dell’ultima visita ad limina dei vescovi della regione, nel 2023, eravamo seduti in cerchio. Quando arrivò Francesco ci informò che doveva dirci due cose. Pensammo a chissà quali indicazioni, invece ci disse semplicemente che se qualcuno aveva sete poteva alzarsi e andare a bere tranquillamente e ci indicò la porta del bagno, proprio come se fossimo andati a trovare una persona a casa. E poi pensiamo alle battute, agli aneddoti, tutte cifre di una umanità che emergeva continuamente. E poi spero e credo – conclude don Erio Castellucci, arcivescovo di Modena-Nonantola e vescovo di Carpi – che resti il desiderio di una Chiesa snella, che non si arrocca, che nell’annunciare il Vangelo, anche con la sua durezza a volte, lo fa tenendo la porta aperta e senza combattere, con lo stile di chi vuole accompagnare».