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La strage familiare

Tragedia di Marzaglia: «Carlo Salsi rifiutava altri aiuti, ma non è mai rimasto solo»

di Daniele Montanari

	Nella tragedia di Marzaglia sono morti padre, madre e figlio
Nella tragedia di Marzaglia sono morti padre, madre e figlio

L’83enne ha ucciso la moglie Claudia e il figlio Stefano prima di suicidarsi. La vicesindaca di Modena, Francesca Maletti: «C’era un contatto continuo con la famiglia, gli operatori dei servizi sociali erano ben consci del peso della situazione. Volevamo ospitare il figlio per dargli sollievo»

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MODENA. «Carlo Salsi non era affatto solo a gestire le difficoltà assistenziali in famiglia. C’era un contatto costante con i servizi sociali, che di recente gli avevano proposto anche una settimana “di sollievo” in cui tenere il figlio. Ma lui aveva detto di no, e per questo era stata posticipata». Lo rivela la vicesindaca di Modena Francesca Maletti, che ha la delega anche a Salute e servizi, in merito alla tragedia di Marzaglia Nuova. Qui, secondo una prima ricostruzione, l’83enne Carlo Salsi avrebbe soffocato la moglie Claudia Santunione, 79 anni, e il figlio Stefano Salsi, di 48, per poi impiccarsi. I corpi sono stati trovati giovedì mattina, 24 aprile.

La situazione

Carlo si occupava in prima persona dell’assistenza al figlio, affetto da una grave forma di autismo che l’aveva costretto sulla carrozzina, e anche della moglie a cui tre anni fa era stato diagnosticato l’insorgere di una demenza senile. Carlo portava tutti i giorni il figlio al laboratorio socio occupazionale, dove restava mezza giornata. La moglie a sua volta frequentava un centro diurno specialistico. Una situazione dolorosa e complessa da gestire per Carlo, che peraltro pare che negli ultimi tempi sia stato anche lui colpito da una malattia che l’aveva reso magrissimo. Eppure, continuava a rifiutare offerte di aiuto più consistente nel gestire le situazioni, sia dal Comune che dagli amici.

«Contatto continuo»

Lo conferma la vicesindaca: «C’era un contatto continuo con la famiglia – sottolinea – gli operatori erano ben consci del peso della situazione. Era da un paio d’anni che al padre veniva fatta la proposta di questa settimana di sollievo, un po’ per l’avanzare dell’età, un po’ per il progredire della malattia della moglie, ma lui rimandava sempre. L’ultima volta gli era stata proposta a febbraio, e lui ha detto una cosa del tipo: “No, facciamo in autunno perché tanto adesso c’è la bella stagione e a Marzaglia si sta bene fuori”. Così quella settimana era stata calendarizzata a ottobre. La famiglia aveva sempre rifiutato anche la proposta di estendere l’orario di permanenza del figlio al laboratorio, per questo è sempre rimasto solo mezza giornata. Ma il monitoraggio della situazione era costante, ben consapevoli della sua delicatezza. Lo testimonia il fatto che è stato dal laboratorio che giovedì è partito l’allarme: non vedendo arrivare Stefano, hanno chiamato il padre, e non sentendolo rispondere, hanno chiamato il fratello che è andato a vedere, scoprendo la tragedia».

Gli psicologi

L’accaduto ha sconvolto i famigliari, certo. Ma è un trauma anche per gli amici del laboratorio, che si chiedono come mai Stefano, dopo tanti anni di frequentazione quotidiana, non venga più. «È una situazione anche questa molto delicata da gestire – sottolinea la Maletti – servirà l’aiuto di psicologi. Anche gli operatori erano molto affezionati a lui: il rapporto era sempre stato ottimo. Ma anche all’assessorato la tragedia ha lasciato basiti: ci si chiede se si è sottovalutato qualcosa, ma davvero nessuno ha colto segnali particolari dal padre. Che anche il 23 mattina aveva portato regolarmente il figlio al laboratorio, senza lasciare trasparire nulla. Si è sempre cercato di essere presenti, non è mai stato detto un no a una richiesta della famiglia. Ma questo non ha evitato la tragedia».

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