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La testimonianza

Gino Cecchettin parla agli studenti e ricorda la figlia Giulia: «Era il sale della mia vita»

di Ginevramaria Bianchi
Gino Cecchettin parla agli studenti e ricorda la figlia Giulia: «Era il sale della mia vita»

Oltre mille ragazzi del liceo Muratori San Carlo lo hanno ascoltato all’assemblea di istituto al cinema Victoria

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MODENA. Tra le prime cose che dice ai ragazzi quando si rivolge a loro, c’è il fatto che «è un po’ preso male», a causa del dolore per Giulia, che è ancora lacerante che non vuole passare, ma anche per la morte della madre, «che l’ha lasciato poco tempo fa». E per questo si scusa. Davanti a circa 1.300 studenti del Muratori San Carlo che aspettavano solo lui e che hanno riempito le sale del cinema Victoria trasformando quella che stava per iniziare in una delle assemblee scolastiche più partecipate di sempre, Gino Cecchettin si è scusato pubblicamente, ancor prima di cominciare a rispondere alle loro domande. «Posso parlare solo della mia esperienza», «mi dispiace se non sono stato esaustivo», «forse non mi sono spiegato bene»: è in queste frasi ripetute continuamente durante le argomentazioni fatte ai ragazzi, che sta tutta la potenza discreta di un uomo che, pur spezzato dalla perdita di una figlia, continua a concedersi con pazienza al rito pubblico delle interviste. Parole dense di amarezza, ma anche di forza. Una forza che sta soprattutto nell’incertezza, nel non avere risposte, ma nel voler comunque dare ancora qualcosa agli altri. Anche quando tutto intorno sembra parlare solo di assenza, Gino Cecchettin sceglie la presenza. E, con l’umiltà e la pazienza che lo contraddistinguono, continua a costruire speranza.

Cecchettin, che effetto le fa esser davanti a così tanti studenti oggi?

«Dal dolore non si può sfuggire e, una volta che lo si accetta, si deve portare avanti un impegno. Quest’incontro di oggi, il libro che ho scritto, la Fondazione Giulia: tutto fa parte di questo processo».

Dopo che il caso di Giulia è diventato mediatico, si è iniziato a parlare spesso di quanto sia importante saper ascoltare e dirsi complici di qualcosa di più grande. Lei come ci è arrivato?

«Quando Elena, mia figlia, ha parlato di patriarcato davanti alle televisioni nazionali, mi si sono aperti gli occhi: aveva ragione. Mi sono accorto che per anni avevo vissuto immerso in una società fatta di stereotipi, di modi di dire sbagliati, e di convinzioni radicate. Se avessi reagito di impulso, come avevo sempre fatto, non sarei andato avanti».

Crede che siamo stati tutti complici?

«Credo che nessun uomo, e forse anche qualche donna, non possa dire di non aver mai avuto nella vita un momento di misoginia. Gli stereotipi, le frasi denigratorie, ci sono, e se non facciamo nulla per cambiare, siamo parte del problema. Finché sarà normale vedere solo il 20% di donne nei consigli di amministrazione o solo uomini ai vertici, saremo complici».

Cosa ha capito, invece, sull’amore?

«Che quando si ama davvero, ogni sentimento negativo viene escluso: rabbia, invidia, gelosia. La gelosia non è amore, è l’antitesi dell’amore. Non esiste un "romanticismo tossico": se amo, mi fido. Se provo gelosia, significa che non amo veramente. L’amore, quello autentico, è libertà reciproca».

Si aspettava tutta questa attenzione mediatica?

«No, non me l’aspettavo. Quando Elena parlò di patriarcato, credevo sarebbe stato un passo avanti, ma invece ha generato molto dolore, perché siamo stati criticati duramente: una delle frasi più feroci è stata “il lutto non si vive così”. Col tempo ho rimesso ogni cosa al suo posto: ho capito che, quando si prende la parola, si diventa bersagli. E le critiche bisogna accettarle».

Come si può aiutare una persona che non vede che sta vivendo una relazione tossica?

«Con l’amore. Non con la critica o il biasimo. Bisogna mostrare cos'è il vero amore, senza mai essere invadenti o tossici a nostra volta. Perseverare, con pazienza. Quel tipo di amore autentico può fare la differenza tra la vita e la morte di una persona».

A più di un anno dalla morte di Giulia, crede che sia cambiato qualcosa nel mondo del femminismo e della consapevolezza sociale?

«I femminicidi sono solo la punta dell’iceberg. Sotto ci sono tante violenze che non vengono denunciate. Continueremo a lavorare fino a quando non arriveremo a zero femminicidi. E, anche allora, non sarà finita: bisognerà intervenire ancora, alla radice, con l’educazione».

Nel libro che ha scritto non parla mai della relazione tra Giulia e Filippo. Perché?

«Perché non vivevo quella relazione. Non avrei aggiunto nulla di più rispetto a ciò che si trovava sui giornali. Io non sono un personaggio famoso o un esperto: sono solo un padre che ha fatto un ultimo regalo alla sua meravigliosa figlia. In quelle pagine ho voluto mettere quanto di più bello potessi ricordare».

Dopo una tragedia si riesce, quindi, a ricordare le cose belle?

«Io mi ricordo solo le cose belle di Giulia. Rimane il dolore, un dolore che pensavo potesse attenuarsi e invece si è intensificato. Però rimangono i ricordi. Li ho cercati disperatamente e li ho fermati, nel modo che mi sembrava più necessario. Io continuo a dire di essere stato un uomo fortunato per essere stato il padre di Giulia. Ora fa male, ma rifarei tutto da capo».