L'esperto di Unimore: «La frana di Boccassuolo non si può fermare»
Il professor Corsini fa il punto sul “fiume di terra” a Palagano: «Abbiamo fatto tutto il possibile per cercare di arginarla, ma non è stato sufficiente»
PALAGANO. «L’Appennino emiliano si è formato per orogenesi della durata di milioni di anni e frane come quella di Boccassuolo si formano per cause geologiche unite alla infiltrazione di molta acqua. Quando sono di queste dimensioni non possono essere arrestate, così purtroppo frane ce ne sono state e ce ne saranno».
Questo, in sintesi, quanto afferma il professor Alessandro Corsini, ordinario di geologia applicata al dipartimento di Scienze chimiche e geologiche dell’università di Modena e Reggio che interviene non solo rispetto alla frana modenese che da settimane sta preoccupando tutti, ma anche spiegando i “segreti” del nostro Appennino e le attività del gruppo di supporto universitario.
Nei giorni scorsi il presidente della Provincia Fabio Braglia, sindaco di Palagano, ha parlato infatti di «situazione drammatica» poiché la frana staccatasi dal monte Cantiere a inizio aprile si sposta ora di una trentina di metri al giorno, è ormai lunga oltre due chilometri e ha spostato tre milioni di metri cubi di terreno con un fronte ampio anche 300 metri.
Sono una decina i residenti già evacuati mentre una cinquantina risulta almeno parzialmente isolata a causa della colata di fango, tanto che nei giorni scorsi il presidente della Regione Michele de Pascale ha firmato uno stato di crisi regionale per permettere l’attivazione di tutti i procedimenti utili al superamento dell’emergenza.
Professor Corsini sta seguendo la frana di Boccassuolo?
«Sì, da giorni la monitoriamo in virtù di una convenzione con l'Agenzia per la sicurezza territoriale e la Protezione Civile della Regione Emilia Romagna. Questa attività oltre al sottoscritto ha coinvolto colleghi, assegnisti e dottorandi del gruppo di ricerca di geologica applicata di Unimore, insieme ai tecnici dell'Agenzia e ai vigili del fuoco e ad alcune aziende».
Come si è formata e quali sono le sue previsioni?
«Frane di questo tipo si formano per cause predisponenti di tipo geologico e cause innescanti di tipo idrogeologico, legate all'infiltrazione delle precipitazioni piovose e nevose. L'evoluzione di un evento di riattivazione di questo tipo di frane è tipicamente caratterizzata da un progressivo avanzamento del fenomeno lungo il pendio. In questo caso specifico ciò comporta anche la riattivazione di depositi lasciati dalla frana che interessò l'area nel 1707».
Ha dei consigli da dare? «Il mio gruppo di ricerca partecipa alle riunioni con gli altri enti e ditte coinvolte e in quella sede vengono prese decisioni condivise sulla base degli scenari aggiornati quotidianamente. Ritengo sia stato fatto tutto quanto si poteva e doveva fare: frane di queste dimensioni non possono essere arrestate».
A parte questo episodio qual è la situazione in Appennino Modena dal punto di vista franoso, ci sono altre aree problematiche? «L'Appennino modenese è un territorio con un numero elevato di fenomeni franosi da quiescenti ad attivi. La Regione dispone di un ottimo inventario di questi fenomeni che in questi anni stiamo affinando anche grazie a tecniche di telerilevamento satellitare. Ci sono state grandi frane in epoca storica, negli ultimi decenni e negli ultimi anni e ce ne saranno anche in futuro».
Da ricordare che nelle ultime settimane si sta monitorando anche la ampia frana di Cà di sotto a San Benedetto Val di Sambro (Bo) e quelle di Fontanelice, nell’Imolese, a Balze, Campigna e Passo della Calla nella provincia di Forlì-Cesena e Brisighella nei pressi di Ravenna. Come si arriva a una frana così importante professore?
«In ragione delle peculiarità geologiche che le dicevo si hanno fenomeni franosi anche diversi tra il settore emiliano e quello romagnolo dell'Appennino. Infatti molte delle frane avvenute durante l'alluvione del maggio 2023 sono stata frane rapide di scorrimento di detrito o di roccia che si innescano ed arrestano nell'arco di poche ore o giorni. Queste hanno quindi caratteristiche molto diverse da quella di Boccassuolo che è invece un grande scorrimento e colata di terra, tipologia comune nel settore emiliano, un fenomeno che richiede settimane per svilupparsi ed arrestarsi».
Lei lavora sul campo in queste ore?
«Sì abbiamo in corso attività di campo volte allo studio e al monitoraggio di frane in diverse province della nostra regione e in Alto Adige».
Come si è formato il nostro Appennino?
«Per orogenesi, un termine che racchiude tutta una serie di processi che nel corso di milioni di anni hanno portato al sollevamento di quelli che erano in origine depositi marini, poi trasformati in ammassi rocciosi, fino alla strutturazione di una catena montuosa estremamente complessa dal punto di vista geologico e strutturale».