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Un mese al referendum, Daniele Dieci: «Il quorum per cambiare il Paese, la nostra sfida parte dal lavoro»

di Davide Berti

	I cinque quesiti del referendum
I cinque quesiti del referendum

L’8 e il 9 giugno gli italiani sono chiamati alle urne per esprimersi con il loro voto su quattro quesiti per i diritti dei lavoratori e uno per l’accesso alla cittadinanza. Il segretario della Cgil di Modena rilancia la mobilitazione

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MODENA. In arrivo quattro referendum sul lavoro e uno sulla cittadinanza. L’8 e 9 giugno gli italiani sono chiamati alle urne per esprimersi con il loro voto su queste tematiche. I referendum sul lavoro sono promossi dalla Cgil e riguardano temi che vanno dalla lotta al precariato fino alla sicurezza, passando per alcuni aspetti che ruotano attorno ai licenziamenti. Quello sulla cittadinanza mira a ridurre da 5 a 10 anni il periodo di residenza legale per ottenerla, fermo restando tutti gli altri requisiti. 

  1. Il primo dei quattro referendum sul lavoro chiede l’abrogazione della disciplina sui licenziamenti del contratto a tutele crescenti del Jobs Act. Nelle imprese con più di 15 dipendenti, le lavoratrici e i lavoratori assunti dal 7 marzo 2015 in poi non possono rientrare nel loro posto di lavoro dopo un licenziamento illegittimo.
  2. Il secondo riguarda la cancellazione del tetto all’indennità nei licenziamenti nelle piccole imprese (meno di 16 dipendenti).
  3. Il terzo punta all’eliminazione di alcune norme sull’utilizzo dei contratti a termine per ridurre la piaga del precariato, ripristinando l’obbligo di causali per il ricorso ai contratti a tempo determinato.
  4. Il quarto interviene in materia di salute e sicurezza sul lavoro: le norme attuali impediscono in caso di infortunio negli appalti di estendere la responsabilità all’impresa appaltante.
  5. Il quinto referendum abrogativo propone di dimezzare da 10 a 5 anni dei tempi di residenza legale in Italia per la richiesta di concessione della cittadinanza italiana, ripristinando un requisito introdotto nel 1865 e rimasto invariato fino al 1992.

Ne abbiamo parlato con il segretario provinciale della Cgil di Modena, Daniele Dieci.

Segretario Dieci, è partita la corsa al referendum: non crede che sia iniziato tutto un po’ in sordina?

«Certamente sì. Non per colpa dei comitati che hanno presentato i referendum, ma per una scelta deliberata di natura politica che punta a silenziare il dibattito. Un silenzio che danneggia i cittadini e le cittadine che votando al referendum hanno la possibilità di migliorare le loro condizioni di vita e di lavoro. Un bel paradosso per una democrazia come la nostra».

Come si spiega il silenzio?

«C’è una motivazione politica e anche una più culturale. Quella politica è semplice: il Governo si nasconde dietro a numeri finti sull’aumento dell’occupazione, che per inciso non cresce soprattutto nei lavori stabili, e preferisce fuggire il confronto sul vero stato di salute del lavoro oggi nel nostro Paese. La motivazione culturale invece è legata la ruolo del lavoro nella nostra società: la Costituzione Repubblicana lo mette come base della giustizia sociale, mentre dopo anni di ridimensionamento del suo valore ci troviamo tra le mani un’idea del lavoro svilito, insicuro, instabile e fragile».

Quali sono gli obiettivi che si è posta la Cgil?

«Beh, se lanciamo una campagna referendaria il nostro primo obiettivo è quello di raggiungere il quorum e cambiare il Paese. Lo voglio dire, visto che sembra un tabù: il quorum si raggiungerà. Perché in questa avventura siamo in tante e tanti, dentro ai comitati referendari abbiamo tantissime energie, idee, voglia di fare e davvero non ci sentiamo soli».

Quali le conseguenze più concrete per i lavoratori in caso di vittoria del sì?

«Potrei dirla retoricamente: il giorno dopo i lavoratori saranno più liberi, meno impauriti, avranno più fiducia nel futuro e saranno orgogliosi. Insomma, entreranno nei luoghi di lavoro e passeggeranno per le loro città a testa alta. In termini più concreti, non potranno più essere licenziati ingiustamente, non potranno più essere precari a vita, saranno più sicuri nei luoghi di lavoro (specialmente negli appalti) e potranno finalmente sentirsi davvero italiani».

Come vi state muovendo per sollecitare il territorio?

«Faremo un migliaio di assemblee calendarizzate nei luoghi di lavoro e tra i pensionati, abbiamo centinaia di banchetti e volantinaggi in tutti i Comuni e in tutte le piazze e abbiamo in programma decine di iniziative di approfondimento e comizi diffusi ovunque; vogliamo raggiungere tutte le case, le aziende e i luoghi di aggregazione della provincia. Sono sicuro che ci riusciremo».

Da parte del centrosinistra non sembra ci sia una grande spinta, non trova?

«A dire il vero, sul nostro territorio le forze politiche di opposizione all’attuale Governo stanno partecipando in maniera attiva alla campagna referendaria e posso affermare per certo che non faranno mancare il loro pieno supporto. L’augurio è che le legittime discussioni all’interno di quelle forze politiche non arrivino a contaminare la spinta necessaria per condurre una campagna elettorale di popolo».

L’unico quesito di cui si sente parlare è quello sulla cittadinanza, perché?

«Io non ho questa percezione. Da un lato, si parla pochissimo di tutti e cinque i referendum che risultano praticamente assenti sul servizio pubblico: questo fa il paio con l’attacco alla cultura del lavoro in questi ultimi vent’anni in Italia. Dall’altro sono convinto che i referendum si trainano a vicenda e sicuramente quello sulla cittadinanza ha un forte appeal verso l’elettorato più giovane».

Cosa risponde a chi sostiene che i referendum non siano lo strumento giusto per riformare il mondo del lavoro?

«Per come è stato riformato negli ultimi decenni dagli interventi legislativi inserendo la precarietà e riducendo i diritti, dare la parola direttamente agli elettori attraverso il referendum mi pare la scelta più saggia possibile».

Dal 1997 solo un referendum ha raggiunto il quorum, quello sull’acqua pubblica nel 2011: come si evita la desertificazione delle urne?

«Con il lavoro quotidiano di confronto, scambio e ascolto con le persone. Si evita tenendo i piedi e le mani dentro la realtà, tutti i giorni, senza pensare di essere portatori di verità assoluta, ma di costruire assieme alla gente un’idea di Paese diverso, futuro, un’Italia con il sorriso. Se si vuole salvare la democrazia, bisogna praticarla: questo è un compito che riguarda tutti noi».

Cosa ne pensa delle forze politiche di Governo che stanno invitando all’astensione?

«Penso che sia coerente con l’obiettivo che dal mio punto di vista stanno perseguendo da tempo: un’idea di democrazia senza popolo, svuotata, e quindi manovrabile. Dico solo questo: votare è una cosa bellissima, è il più forte atto di libertà. Chi dice di non andare a votare non ha a cuore il nostro futuro».

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