Tintoria Emiliana a Los Angeles: «Esportiamo l’eccellenza modenese»
Da lunedì fino a giovedì 24 maggio una serie di eventi in California
MODENA. C’è un odore preciso che chi è cresciuto tra Modena e Carpi non può non riconoscere. È quello umido e ferroso della tintura, quando il capo bagnato esce fumante dai tamburi. Un odore di mestiere, di mani che sanno aspettare, di colore che si rivela solo alla fine. Ed è questo dettaglio familiare, questo aroma di sapere antico, che domani attraverserà l’oceano per raccontarsi nel cuore di Los Angeles, capitale mondiale del tinto capo.
Ebbene, da domani fino al 24 maggio va in scena “La rivoluzione del tinto capo”, evento ideato e promosso dalla storica azienda modenese Tintoria Emiliana per celebrare i suoi 75 anni, ma anche – e soprattutto – per mettere in mostra ciò che oggi può diventare un’antica arte italiana: un sistema di lavorazione, un’estetica, un’industria diffusa, che parte da Modena e arriva al mondo.
«Quello che portiamo in California – racconta Marco Mango, art director dell’iniziativa – è un progetto partecipato, quasi una rete di impresa che ha come protagonista la filiera del tessile italiano. L’idea è nata un anno fa, un po’ per intuizione e un po’ per istinto, e si è trasformata in qualcosa di strutturato, grazie al sostegno convinto della Tintoria Emiliana e all’adesione di alcuni professionisti modenesi di grande esperienza».
Di fatto, parliamo di un’esposizione curata nei minimi dettagli, che ha come protagonisti 350 capi studiati e sviluppati da una filiera tutta italiana, impreziositi dal know-how modenese e declinati nel colore, che è la vera, unica voce narrante.
I partner sono tanti, e parlano tutti la lingua della manifattura evoluta: ci sono Tessuti di Sondrio, Limonta, Bellandi, Staff Jersey di Carpi, Emilcotoni, Linsieme Filati e persino le giapponesi Komatsu e Ykk, oltre al sostegno tecnico e logistico di Arcese – «che ha subito capito il potenziale e ha trattato i nostri capi come fossero opere d’arte» – e la sede magnifica del gruppo Florim: 1.200 metri quadri nel cuore di West Hollywood.
«Il colore – spiega Stefano Lodi, co-proprietario della Tintoria Emiliana – è il vero protagonista, perché è attraverso la tintura che nasce l’identità di un capo. La tintura è cultura, è il frutto di settantacinque anni di ricerca e trasformazione. Tinta in capo, tinta di storia, tinta di territorio».
La mostra si aprirà con un’ouverture di peso: i 14 pezzi dello storico partner Massimo Osti, prestati dallo studio omonimo di Bologna. Parliamo di capi di Cp Company e Stone Island, icone del design tessile contemporaneo, tutte tinte – guarda caso – dalla Tintoria Emiliana.
«Osti si innamorò del nostro modo di lavorare – racconta Lodi – e oggi vedere i suoi pezzi d’apertura nella mostra è una dedica importante».
Poi, inizierà la narrazione vera e propria. Ogni brand presenterà una serie di capi (12 per ciascuno) declinati per uomo e donna, con uno storytelling costruito sulla provenienza, sulle filiere corte e sostenibili, sulla qualità che nasce dalla cultura.
«Abbiamo lavorato su un’idea di geografia produttiva – continua Mango – ogni capo è una cartolina da un luogo d’Italia, racconta un sapere, una storia familiare, una tecnica affinata nel tempo».
Tutti i dettagli sono pensati per creare un’esperienza immersiva, un’esposizione che ospita architetti, brand americani, designer emergenti, e che vedrà anche momenti più istituzionali, come l’apertura con la console italiana Raffaella Valentini.
«È un evento per addetti ai lavori, sì – dice ancora Lodi – ma non sarà chiuso: è pensato per chi vuole capire davvero come nasce un tinto in capo, per chi vuole toccare con mano l’eccellenza e magari ritornarci il giorno dopo per approfondire». Il format dell’evento, del resto, ha già attirato l’interesse di numerosi brand americani: «Mancava un’iniziativa del genere – ammette Lodi –. La fiera tradizionale ha fatto il suo tempo. Qui raccontiamo, costruiamo un linguaggio».
E il futuro?
«Se la formula funziona, si replicherà senz’altro. Monaco, Tokyo, ma anche Parigi – spiegano –. L’importante è che resti legata alla nostra identità. Perché tutto quello che facciamo, anche a migliaia di chilometri da casa, parte da qui. Da Modena».
E tutto ci tornerà, nella terra dei motori, del Lambrusco, ma anche dell’arte artigiana. Dalle mani sapienti da cui tutto è iniziato, dalle regole del mestiere trasmesse, con la pratica, di generazione in generazione. Ci tornerà tutto, a Modena.
C’è una fotografia, di quelle che sembrano uscite da un album salvato dalla polvere del tempo. Ci sono sei persone in posa, ferme, davanti a una macchina fotografica che immortala un’epoca. È in bianco e nero, è un po’ sbiadita, ma dentro c’è tutto il colore di una vita: «Eccomi – dice Stefano Lodi, co-proprietario della Tintoria Emiliana, indicando il bambino con la maglia a righe – Sono proprio quello lì a destra».
È attraverso questa immagine, evocativa, familiare, che abbiamo deciso di tornare indietro di 75 anni, e poi ancora avanti: per raccontare una storia che è famiglia, impresa, territorio, e che oggi si chiama ancora, con orgoglio, Tintoria Emiliana.
«Sì, io ero quel bambino. Avevo gli occhi larghi, curiosi. Guardavo la tintoria da dentro, da sotto, come si guarda una cosa che fa parte della tua casa. Perché quella era la nostra casa. Si viveva e si lavorava tutti insieme. Era una vera azienda a conduzione familiare, di quelle che oggi non si trovano più», commenta Lodi con dolcezza. La Tintoria Emiliana nasce nel dopoguerra, dalle mani e dalla tenacia di Giovanna Martinelli e Giuseppe Lodi, in una Modena che si stava rialzando con le dita annerite di fatica e il cuore pieno di speranza.
«I primi tempi lavoravamo sui capi militari dismessi – racconta –. Li prendevamo, li pulivamo, li ritinteggiavamo e li rimettevamo in commercio, in nuovi colori. Era un’economia del recupero, quando ancora non esisteva nemmeno il termine. Dietro c’era ingegno, speranza, bisogno». Poi, negli anni Sessanta, arriva il vento del pronto moda: «Una stagione magnifica. Le maglie di Carpi, la produzione frenetica, i colori brillanti. Ricordo tutto ancora lucidamente. Qui da noi il tessile era ovunque, era il battito della terra».
E così Tintoria Emiliana cresce, si struttura, diventa punto di riferimento. Ma la svolta, quella che cambia davvero la traiettoria dell’azienda, è l’incontro tra Giuseppe Lodi e Massimo Osti, stilista visionario: «Con lui è nato il tinto in capo. Un’idea che sembrava folle e che invece ha rivoluzionato il settore. È stata una collaborazione di 45 anni. E sempre qui. Sempre a Modena».
Già, Modena. Un punto fermo: «Tutti, negli anni ’90 e 2000, portavano le produzioni all’estero. Per risparmiare, per rincorrere i numeri. A noi l’hanno proposto tante volte, ma abbiamo sempre detto no. Perché puoi spostare una macchina, ma non puoi spostare le persone. E sono le persone che fanno un’azienda. Noi siamo legati a questa terra, a questa gente, a questa lingua».
E anche oggi, che il mondo del tessile è cambiato e che le traiettorie si sono spostate tutte, Tintoria Emiliana sceglie di rimanere ancorata alla sua terra: «Ci sono nuove sfide, nuovi bisogni – ammette –. Ma noi abbiamo deciso di affrontarli restando fedeli al nostro stile: radici profonde e sguardo avanti».
Proprio per questo è nato l’evento “La rivoluzione del tinto in capo”, «per confrontarsi con i brand, i designer, i responsabili, e fare in modo che si fermino, osservino, facciano domande. Non si tratta di visite mordi e fuggi: devono capire cosa facciamo e come lo facciamo. E lo potranno capire solo decidendo di prendere un volo e venire qui, a Modena». E quando, alla fine, viene chiesto a Lodi se ha un sogno per il futuro, lui sorride: «Continuare a fare quello che facciamo. Solo meglio. Ricerca continua, attenzione, trasformazione. C’è da osservare, sperimentare, ascoltare i materiali, capire i colori, dare loro un’anima».
Poi, guarda di nuovo quella foto. Sei volti, uno accanto all’altro, dritti davanti all’obiettivo: «Perché in fondo, noi, siamo sempre stati questi. Uniti».
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