Case chiuse e “veneri vaganti”: storia della città a luci rosse
Fabio Montella e Francesco Paolella in un libro raccontano e ricostruiscono luoghi, aneddoti e drammi del fenomeno della prostituzione in provincia
MODENA. «Non s’avrebbero da permettere meretrici nelle osterie e taverne. […] Stieno quelle miserabili a vendere la lor cattiva merce né propri tuguri, né vadano a tendere insidie dove capita chi non le cura né cerca». (Ludovico Antonio Muratori). Anche Modena, ha avuto, la sua “Via del Campo”. Più di una. La sua storia di prostituzione. Vissuta, consumata, “eccitata alla corruzione”. Raccontata da una voce di memoria prevalentemente al maschile.
Il libro
Ora «Le donne perdute di Modena. Prostitute, uomini e bordelli fra Otto e Novecento» (pp. 222 € 24,00, Artestampa), un libro sulla storia della prostituzione in provincia a firma degli storici Fabio Montella e Francesco Paolella, la ricostruisce e la documenta, dall’Unità d’Italia ad oggi, con una dettagliata analisi dei luoghi, dei protagonisti e delle principali questioni che hanno ruotato intorno a questo fenomeno nel nostro territorio.
Cittadine di serie B
«Considerate esponenti delle cosiddette “classi pericolose”– scrivono gli autori – le prostitute sono state sempre tollerate, ma come cittadine di serie B. Il nostro libro racconta come il potere (rappresentato soprattutto da uomini) abbia sottoposto il corpo femminile ad un costante e invasivo controllo sanitario e di polizia». Nel libro gli elenchi – relativi a diverse epoche storiche – dei bordelli modenesi, con la loro esatta ubicazione. Concentrati non soltanto in via Catecumeno (oggi via dei Tintori), ma presenti anche in via Armaroli (nel quartiere dove oggi sorge piazza Matteotti), via Santa Margherita, «strada di puttane e casini», contrada del Malore (oggi via Malatesta) e in molte altre strade; dalle quali poi la storia della prostituzione e di chi l’ha vissuta sulla propria pelle è stata (fino ad oggi) cancellata.
Mappa e dettagli
Una ricostruzione in dettaglio che per la prima volta, attraverso una ricerca condotta presso diversi archivi locali e nazionali, passa in rassegna la storia della prostituzione locale a partire dal Regolamento Cavour del 1860 – momento di svolta rispetto al passato di eredità estense – fino ai giorni nostri. Nel testo la mappa dei luoghi della prostituzione legale: dove si trovavano le “case chiuse”, a Modena ma anche a Mirandola, e dove operavano le cosiddette “veneri vaganti”, che, pur autorizzate dalle autorità, esercitavano il mestiere in strada.
Clandestinità
E un’ampia ricognizione sulla prostituzione clandestina (non autorizzata), anch’essa presente da sempre sotto la Ghirlandina e in tanti altri Comuni della provincia. Sul tema della prostituzione, esercitata dalla notte dei tempi da “vestali” “meretrici”, “peripatetiche” o “signore delle camelie”, «esistevano pochissimi studi – spiegano gli autori – perché scabroso da affrontare ma soprattutto perché lo si è dato per scontato e “immutabile”» Il suo studio si è rivelato invece una cartina di tornasole della società e un passaggio ineludibile per capire l’evolversi del rapporto tra i sessi.
Dopo una breve introduzione che riassume ciò che è avvenuto a Modena fino all’Unità d’Italia, il libro passa in rassegna le modalità attraverso le quali il nuovo Stato unitario ha esercitato il controllo – di polizia e sotto il profilo igienico-sanitario – sui corpi delle prostitute. La Grande guerra (e in particolare la disfatta di Caporetto), la stretta autoritaria del fascismo (con la sua visione del problema in equilibrio tra moralismi ed esaltazione della “maschia virilità”) e la seconda guerra mondiale determinarono diverse trasformazioni.
Storie tragiche
Molte le storie di prostitute raccontate, comprese quelle di alcune che vennero rinchiuse al Manicomio “San Lazzaro” di Reggio Emilia e di due “ribelli”, sorvegliate dal regime mussoliniano per il loro antifascismo. Poi un focus sulla chiusura degli ultimi bordelli modenesi (una decina d’anni prima che nel resto d’Italia), sulla lunga discussione che portò all’approvazione della Legge Merlin e su come la società si è organizzata, dopo gli anni Cinquanta del Novecento, per gestire questo fenomeno, non certo tramontato dopo la fine dell’era delle cosiddette “case chiuse”.
Tra amarcord e cruda realtà
«Se si escludono alcuni pregevoli lavori storiografici recenti – proseguono nella loro descrizione gli autori del libro Fabio Montella e Francesco Paolella – la storia della prostituzione è stata tramandata dal ricordo di uomini che hanno scritto libri intrisi di “amarcord”, che poco hanno a che vedere con la cruda realtà dei “bordelli” che emerge dai documenti. A noi interessava invece ricostruire le storie e i vissuti personali, che sono stati spesso segnati da violenza e sofferenza e che appaiono molto lontani da quelli narrati nei libri scritti da ex clienti uomini. E ci interessava capire come le autorità – che per molti decenni sono state prevalentemente rappresentate da maschi – abbiano esercitato il loro potere sui corpi femminili, considerate per un lungo periodo di tempo come esponenti di quelle “classi devianti” e pericolose che lo Stato doveva controllare e relegare ai margini della società». In appendice sono state inserite tutte le fonti consultate per la realizzazione di questo libro: dall’Archivio Centrale dello Stato di Roma all’Archivio di Stato di Modena, dagli Archivi storici dei Comuni di Modena e di Mirandola all’Archivio dell'ex ospedale psichiatrico San Lazzaro di Reggio Emilia. E un ringraziamento per la collaborazione all’Istituto storico di Modena.
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